Parafrasando l’immortale espressione di JFK, oggi potremmo dire che siamo tutti Ken Loach. Almeno quelli che credono che la csr sia una cosa seria e che parlare di csr non significhi parlare di teorie e massimi sistemi, ok a volte lo si può anche fare, ma di come principi e criteri si traducono o invece non si traducono nella vita reale. Di ciò che accade, cioè, oggi, vicino a noi, sul nostro territorio (anche se “vicino”, nell’era della globalizzazione, non è solo una questione di prossimità geografica…). Ma che spesso o non si riesce, o non si vuole, o non si può (perché è scomodo portarlo alla nostra attenzione) vedere.
Ieri il famoso regista cinematografico Ken Loach ha fatto notizia. Ero al telefono con un amico che me l’ha segnalato, ho cercato la news sul web e ho trovato il lancio dell’Ansa in cui se ne parlava.
Ken Loach ha detto che non poteva accettare il premio che gli era stato assegnato al Torino Film Festival perché non condivideva la situazione di precariato ed esternalizzazione dei servizi che proprio a lui i responsabili sindacali avevano denunciato e che chiamava in causa direttamente la cooperativa Rear ma anche il Museo Nazionale del Cinema, al quale la cooperativa offre i suoi servizi. Mi soffermo su quello che il regista di Bread and Roses ha detto, anzi, ha scritto in un comunicato per spiegare la sua decisione. Fra le cose che ha scritto, segnalo due passaggi.
Il primo: “Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile”.
Il secondo: “Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni”.
L’intero comunicato di Ken Loach si può leggere a questo indirizzo, tradotto in italiano, dove si può leggere anche il commento del responsabile sindacale che aveva preso contatti con Ken Loach per sensibilizzarlo sulla situazione. Le risposte dei chiamati in causa si possono invece leggere qui. In particolare, leggendo qui, si vede che nella sua risposta il Museo Nazionale del Cinema dice espressamente che non lo si può ritenere responsabile del comportamento di terzi, né direttamente né indirettamente. Il punto, però, in una prospettiva non certo giuridica ma di csr, è proprio questo: cosa si intende per “responsabile”?
Se si parla di responsabilità sociale, infatti, che per sua natura inizia dove la legge finisce (nel senso che si intende che il rispetto delle norme di legge è ritenuto una condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per un’azienda che intende impegnarsi nella responsabilità sociale), allora la questione cambia di molto, per non dire che si ribalta: è tutto il filone del controllo e verifica della catena di fornitura e sub-fornitura, della Sa8000, dei codici di comportamento dei fornitori e così via, che costituisce un campo sterminato ed è una parte fondamentale della strumentazione della csr. Ma anche del suo significato più profondo: andare oltre il dettato di legge, oltre ciò che è già obbligatorio, per farsi carico di aspetti sociali e ambientali ulteriori.
Quello che mi interessa di più, però, e lo dico senza enfasi, è che questo comunicato potrebbe a ragione diventare un manifesto della csr. Un manifesto di cosa vuol dire occuparsi seriamente di responsabilità e sostenibilità, facendola entrare nei gangli della vita sociale quotidiana e anche in quella di ciascuno di noi. Andando a vedere, informandosi, verificando, sollecitando, pretendendo. E nel caso prendendo posizione per indicare cosa non è accettabile, sostenibile, capace di futuro e come occorre cambiare perché lo diventi. Facendo emergere, insomma, il conflitto che nasce tra ciò che è reale e ciò che è desiderabile, nel senso della responsabilità sociale, e promuovendo dinamiche che servono per gestirlo e risolverlo trovando soluzioni attuabili. Qui sta uno dei principali motori di cambiamento verso un modo di fare le cose più sostenibile.
Ci voleva Ken Loach per richiamare l’attenzione su fenomeni che in molte, troppe aziende e cooperative stanno verificandosi sotto i nostri occhi? Per dire che certe questioni vanno sollevate, che non si può far finta di niente, che bisogna guardarci dentro? Pare di sì, ci voleva Ken Loach. E allora speriamo che altri personaggi famosi, di cui basta il nome per richiamare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, facciano quello che ha fatto lui: thanks a lot, Mr. Loach.
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