Cultura
Manicomi, ma non dovevano scomparire?
La Giornata della salute mentale solleva la vergogna dei malati chiusi in strutture da cui è difficile uscire. Perché la custodia è più conveniente della cura
Non chiamateli manicomi. Meglio ?manicomietti?, visto che non possono ospitare più di 20 persone. Anzi, se proprio volete essere precisi, la definizione più corretta è ?Strutture psichiatriche residenziali dei servizi territoriali?, che hanno l?obiettivo specifico di offrire ?una rete di rapporti e opportunità emancipative? ai malati psichiatrici e ?non vanno intese come soluzioni abitative?. Nessuno, certo, avrebbe mai voluto considerarle soluzioni abitative, ma di fatto lo sono diventate.
La chiusura dei manicomi sta provocando soprattutto una ridistribuzione dei malati. È questo l?allarme più forte che emerge nel nostro Paese, in occasione della Giornata mondiale per la Salute mentale proclamata per il 7 aprile dall?Organizzazione Mondiale per la Sanità. Oggi queste fatidiche strutture residenziali dispongono di 17.343 posti letto, sono per il 70% ?ad alta assistenza?, cioè hanno personale che vi opera 24 ore su 24, e non dimettono quasi mai nessuno, emancipato o meno.
La ricerca Progress dell?Istituto Superiore della Sanità ha infatti rivelato che, nel 1999, il 40 per cento di esse non ha dimesso alcun paziente e che il restante 60 per cento ne ha dimessi al massimo due.
«È in atto un nuovo processo di istituzionalizzazione: più sommerso, sotto una cortina di etichette che non evocano l?immagine del manicomio, ma con la cultura di custodia e segregazione di sempre» dice Massimo Cozza, psichiatra coordinatore della Consulta Nazionale per la Salute Mentale.
Proprio in questi giorni l?organismo che coordina le associazioni di settore ha annunciato l?ingresso di Cittadinanza Attiva e Caritas (in qualità di invitato permanente) nella piattaforma e ha diffuso il suo nuovo manifesto. «La nostra battaglia non è solo contro il ritorno alla logica manicomiale, attraverso la concreta realizzazione degli obiettivi della Legge 180 e del ?Progetto Obiettivo?, ma anche la lotta al pregiudizio e al determinismo genetico» sottolinea Cozza, «Sono fondamentali la costruzione di una rete di servizi territoriali attivi giorno e notte e il reclutamento di nuove risorse professionali: mancano almeno 7mila operatori specializzati, tra psichiatri, psicologi e infermieri».
Ma è la stessa questione psichiatrica, secondo gli addetti ai lavori, a non essere ancora risolta. La fragilità ideologica, l?incapacità di trovare soluzioni e metodologie omogenee nell?approccio alla malattia mentale, rischia di far perdere ai servizi pubblici il controllo della situazione a favore di uno strisciante business del privato.
«La chiusura dei manicomi ha decretato la fortuna di parecchi ?mercanti dell?assistenza?» accusa Angelo Righetti, psichiatra responsabile del Dipartimento di Salute Mentale di Parma «Si tratta di tante cooperative preposte ai servizi alla persona, che gestiscono strutture protette in cui l?ottica della riabilitazione non è nemmeno contemplata, visto che la retta di mantenimento di un malato va da 200 a 350mila lire al giorno. L?Ente locale paga, si deresponsabilizza e delega il controllo a un privato che non ha nessun interesse alle dimissioni del malato».
La questione solleva un problema significativo: in Italia non sono ancora stati definiti i parametri di accreditamento per le strutture di salute mentale: ci sono 65 case di cura neuropsichiatriche con 7.149 posti letto (di cui 6.144 finanziati dalle Regioni) non ancora sottoposte a un controllo di qualità dei servizi. «Così migliaia di persone, in Italia, perdono il diritto alla casa, al lavoro, all?integrazione nella comunità» continua Righetti «Di fronte a tutto questo, è evidente che non basta lavorare sui luoghi, ma sui metodi. La soluzione è lo sviluppo di politiche attive all?interno delle comunità locali, continuando sul grande lavoro fatto dalle cooperative sociali di tipo B, preposte all?avviamento al lavoro e al coinvolgimento imprenditoriale dei malati, che in questo modo si vedono restituiti i loro diritti e la dignità».
Oltre all?attivazione di nuove politiche, le associazioni chiedono il superamento di situazioni ormai intollerabili, «Come la questione dei manicomi privati, 9 su tutto il territorio nazionale, che contengono ancora circa 2mila persone» sottolinea Cozza. E poi c?è la questione dei manicomi giudiziari, che realizzano il lato peggiore del carcere e il lato peggiore dell?istituto: il ministro della Sanità Veronesi ha incontrato il collega Guardasigilli Fassino, per rivederne la natura e i compiti. Ma le soluzioni sono ancora lontane.
La Giornata mondiale per la Salute mentale, dedicata alla lotta al pregiudizio, deve anche «essere occasione per affrontare il problema del disagio in età evolutiva» dice Ernesto Muggia, presidente dell?Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale «In Italia ogni anno circa 6mila giovani si ammalano, e senza una risposta efficace della comunità e dei servizi psichiatrici sprofondano inesorabilmente nella cronicità. E dire che 2 su 3 potrebbero essere perfettamente riabilitati».
L?assistenza e la cura degli adolescenti e dei giovani è una priorità del ministero della Sanità, che in occasione della giornata dedicata ha annunciato la proroga del Progetto Obiettivo fino al 2003, il sostegno alle famiglie che hanno in casa un malato, l?eliminazione delle restrizioni per l?accesso ai farmaci antipsicotici e la promozione di un progetto strategico di ricerca sulla salute mentale.
Ai 600mila italiani affetti da disturbi psichici gravi e alle loro famiglie ora non resta che attendere i fatti.
Info:www.salutementale-oms.it
utenti.tripod.it/cozzam/index
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