Non so quanti di voi abbiano mai cambiato casa o quanti di voi abbiano mai fatto un trasloco o quanti di voi sono mai entrati a vivere in una casa. Ecco le sensazioni prima di entrare dentro una casa nuova sono tante, ma gli oggetti, anzi le cose sono quasi sempre quelle: gli scatoloni, lo scotch, pareti nuove e immacolate, libri e padelle. Poi però in quelle case lì ci si portano dietro anche le storie che in realtà non ci sono negli scatoloni, però ci stanno le storie, entrano dentro quelle case lì, attraversano i corridoi prima ancora che voi facciate il primo passo prima che li percorriate, riempiono i cassetti, le mensole, lo scaldabagno, i buchi dello scolapasta, si arrampicano sulle tende delle finestre, segnano i braccioli del divano e riempiono la casa prima ancora che voi ci possiate entrare in quella casa lì.
Ecco c’è una casa a Roma, a via del Mandrione che adesso che è vuota ed è da riempire. Finora ci sono entrati martelli, accidenti e brugole, contrattempi e serrande all’odore chimico di antiqualcosa, magliette e catenelle, proiettore e scrivanie, tavole e legni, viti e cacciaviti. Ci abbiamo portato solo gli scatoloni e le storie che finora non avevano trovato terra, pareti, mensole o tende sulle quali arrampicarsi o anche solo una casa da riempire. Erano una sull’altra, a formare gli strati di una terra che sarebbe da studiare. La materia si potrebbe chiamare “la geologia dei raccontastorie” e si potrebbe studiare in quella casa lì al Mandrione 105.
Dagli scatoloni è uscita la prima idea, quella che ha fatto nascere tutto, che poi è stata l’idea di aprire un blog per raccontare le storie del terremoto a L’Aquila e subito dopo sono uscite le trentacinque storie raccontate da tanti sul terremoto in Emilia. Poi è uscita la storia di Jen e Angelo, quella di Lucy a New York, quella di Mundo in Chiapas e quelle di Alejandro, Alvaro e Jaime a Siviglia, le storie dell’Afghanistan appiccicate a quelle della Georgia, il carnevale di Scampia, le storie che avevano la casa a Tor Bella Monaca, Piazza Tahrir, Gaza, Gezy Park, Kamalapur, Palermo, Shasha e Nyangoma, Instanbul, Beslan, Ballarò, Fukushima, le storie di spirulina e di pompìa, le storie dei ferri dei porci e quelle dei cavalieri, quelle di confini che disorientano e di binari non più morti, di carceri e cantieri, di inondazioni e esplosioni nucleari, di musiche e sapori, corse a ostacoli e rotelle. Ma la casa è ancora vuota, malgrado tutto. Perché le storie erano nella rete, sui blog, sui social network e non si possono appendere, non si possono arrampicare sulle tende di casa quelle storie lì..
Anzi, in realtà nella casa ci abbiamo trovato solo questa di storia, che poi l’ha scritta Pasolini tanti anni fa e si intitola “Vie Nuove”. Pasolini diceva «Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la cassettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso ci mandò un bacetto. La pura vitalità che è alla base di queste anime – diceva Pasolini- vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto».
Ecco adesso, a via del Mandrione 105, a Roma, c’è una casa da riempire e siete tutti invitati.
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