Welfare
Manconi: «Il caso Cucchi apre un problema enorme per tutti»
Il fondatore e presidente dell’associazione “A buon diritto” interviene sul caso di Stefano Cucchi e sulla recente assoluzione in appello di tutti gli imputati. « Essere esigenti sulla questione delle garanzie, comprese quelle che sembrano mero formalismo giuridico, è l’unica strada per tornare ad una giustizia giusta»
Tutti assolti. Questa è stata la sentenza della corte d’Appello di Roma sul caso di Stefano Cucchi. Il ragazzo romano arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e deceduto una settimana dopo nell’ospedale Sandro Pertini. Una sentenza che ribalta il primo grado. La formula adottata dal giudici è quella prevista dal secondo comma dell’articolo 530 “ovvero quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. A stretto giro di posta è arrivato un post della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Abbiamo vinto Stefano. Abbiamo vinto! Mi parlavano di morte naturale. Mi parlavano di te che ti eri spento. Abbiamo vinto. Hanno perso loro. Non noi. Non ci siamo arresi ed abbiamo vinto. Sono loro ad aver perso. Loro che non sono nemmeno capaci di dirci chi è stato a ridurti così. La giustizia non è per te. Non è per noi. Ma oramai tutti sanno e tutti hanno capito. Abbiamo vinto». Ed è proprio questo il vero nodo della faccenda: quello che agli occhi del pubblico è evidentemente oggettivo non è probante dal punto di vista giuridico. C’è insomma una frattura tra la giustizia legale e il buon senso che non riesce più ad essere sanata. Per questo abbiamo contatto l’onorevole Luigi Manconi, fondatore e presidente dell’associazione “A buon diritto”.
Ha letto il messaggio di Ilaria Cucchi? Che ne pensa?
È chiaro il senso del messaggio di Ilaria. E quel senso non solo lo condivido ma lo sostengo con tutte le mie forze. Ma bisogna anche commisurare quel messaggio alla concreta realtà dell'opinione pubblica, della mentalità comune, delle idee diffuse. E allora quel “tutti” che ritiene che ormai sia evidente che Stefano Cucchi ha subito una grande ingiustizia va ridimensionato. Forse sarebbe meglio dire “molti”. Io esito persino a farlo corrispondere alla maggioranza dell'opinione pubblica. Sono estremamente più prudente. Dopo di che, siccome si è partiti da una situazione totalmente diversa, dove Stefano veniva definito dal primo giornale di Roma «il piccolo spacciatore di Tor Pignattara» possiamo parlare di grandi passi in avanti. Dal 2009 ad oggi, non c'è dubbio che enormi miglioramenti siano stati fatti. Sono convinto che quel “tutti” sia un messaggio morale che Ilaria lancia ma che non è misurabile in termini statistici.
Anche Erri de Luca si è espresso scrivendo: «Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato». È d’accordo?
È un'antica metafora. Dal primo momento anch’io ho detto che Cucchi ha vissuto una via crucis. In senso proprio: ha attraversato 12 istituti statuali, 12 strutture pubbliche. Il dato che richiama una sacra rappresentazione sono più d'uno. Anche il ruolo delle donne, della madre e della sorella, ricorda la vicenda di Gesù…
Rimane comunque un grande problema di fondo: come si può credere nella giustizia davanti a fatti come questo?
Il problema è enorme. Riguarda tutti i cittadini di fronte alla legge. Poi, pur essendo di queste dimensioni, viene in qualche modo rimosso perché pur riguardando tutti, il dato che emerge è che a pagare più spesso, cioè ad essere vittime più spesso, sono le persone vulnerabili, più esposte all'esclusione sociale. Questo fa sì che ciò che sia intollerabile viene tollerato. L'iniquità del sistema della giustizia nella sua incapacità di tutelare la vita umana, di proteggere i cittadini che sono nella sua custodia, di garantite integrità e incolumità di chi è privato della libertà. Tutto questo diventa in qualche misura rimovibile perché le vittime più frequentemente sono persone escluse socialmente. C'è un doppio target, un doppio trattamento. Due diverse giustizie
Cosa si può fare?
Bisogna affermare i principi del garantismo. Il garantismo è intransigente, non prevede deroga. Un sistema che va affermato in ogni circostanza e nei confronti di qualunque soggetto. Facciamo un esempio semplice: ha suscitato grande scandalo come Stefano Cucchi sia stato classificato, al suo arresto, in modo sbagliato. Fu infatti individuato come “albanese senza fissa dimora”. È possibile che sia questo il motivo per cui non abbia avuto gli arresti domiciliari. Nella mia concezione del garantismo questo dato già inficia tutto il resto. Già all'inizio di questa vicenda c'è un errore che non garantisce la persona. Per me questo rende invalido tutto il resto. Essere esigenti sulla questione delle garanzie, comprese quelle che sembrano mero formalismo giuridico, è l’unica strada per tornare ad una giustizia giusta.
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