Non profit
Manager,imparate da Machiavelli
Per le organizzazioni non profit il fine non giustifica i mezzi, ma una discreta capacità politica aiuta a raggiungere i propri obiettivi.
Diplomazia e senso politico: cioè fare i propri interessi (ma veri interessi). Chi pensa di poter sopravvivere nel nonprofit senza una buona dose di diplomazia, capacità politica e senso del sociale si sbaglia. Ma usare la diplomazia non significa svendere la propria idealità ed annacquare le proprie idee. Forse inconsciamente avviciniamo la parola diplomazia all?uso concreto che, purtroppo, ne fanno ad esempio certi politici di professione per perseguire i propri ?interessi? anzichè quelli della comunità. Invece l?uso della diplomazia a cui ci riferiamo contiene in sé il principio e il fine. Ci spieghiamo meglio. Se l?obiettivo che la mia organizzazione nonprofit si propone è ?buono?, meritevole cioè di essere perseguito perché è di aiuto per la collettività, è importante che io lo persegua in maniera efficace, in una maniera cioè che mi sia utile per raggiungerlo. Devo in altre parole usare esclusivamente i mezzi – compatibili con il fine – per raggiungere il mio obiettivo.
La diplomazia è uno di questi mezzi. Machiavelli viene spesso ricordato con la frase ?il fine giustifica i mezzi?, Gandhi invece in tutta la sua vita ha predicato, ma soprattutto testimoniato, che deve esserci corrispondenza tra fini e mezzi, e che se il mezzo usato è buono anche il frutto che nascerà dall?albero sarà buono. Per noi la diplomazia presuppone la chiarezza delle finalità della nostra organizzazione e si coniuga con la tolleranza (che è consapevolezza di non essere depositari della verità e che quindi si traduce in un ascolto attento), e l?empatia (che è capacità di mettersi dei panni dell?altro per capire la sua situazione, sia esso l?amministratore pubblico, il volontario, la persona accolta con cui mi sto rapportando). Se anziché voler affermare pregiudizialmente le mie idee riesco a ?entrare? nell?altro, a sostituirmi a lui e a capirlo, paradossalmente aumento le mie possibilità di raggiungere il mio obiettivo; per questo la capacità di compromesso va intesa non come prostituirsi e svendere la propria dignità, ma come capacità di sacrificare qualche idea giusta ma in quel momento prematura e talvolta anche il proprio orgoglio, perchè quello che nella vita conta non è affermare il proprio punto di vista, ma costruire il bene comune e quindi i risultati.
Perchè occorre essere ?politici?
La diplomazia così espressa richiama quindi la necessità di esercitare una capacità politica, di natura ben diversa da quella che comunemente abbiniamo a gran parte dei nostri parlamentari, che a partire dai ?fini alti? delle nostre organizzazioni è capacità di realizzare il possibile, o meglio ancora, il massimo di quelle che è realisticamente possibile in questo preciso istante. Le onp sono ?governate? e democratiche per natura, le risorse vengono donate volontariamente e prodotte dalla persuasione. La leadership si basa sul consenso e i leader sono a disposizione dei costituenti (volontari, staff retribuito, fondatori) per cui diventa inevitabile la natura politica delle loro funzioni. Pertanto il manager deve saper aggiungere alle sue competenze professionali una sensibilità politica: ad esempio, la capacità di formare coalizioni, di mettere in buon ordine i vari generi di aiuto e di ispirare fiducia. In altre parole il manager deve essere un leader democratico e riconosciuto.
Questo comporta una attenzione ad alcuni aspetti che potrebbero diventare problematici nella gestione dell?organizzazione, preoccupazioni di non trascurare anche le esigenze minori (come un volontario deluso che può far scatenare il malcontento generale), difficoltà di imporsi nei confronti degli altri, non può esercitare una piena autorità sui punti del sistema di cui è responsabile, non esiste una funzione di comando nelle onp, è abbastanza naturale che certi tipi di organizzazioni divengano una specie di ?arena? per scontri, mancanza di continuità (frequenti elezioni), persone incompetenti vengono chiamate a ricoprire ruoli importanti o decisivi, essere disponibili nei confronti dei costituenti (serie difficoltà circa il migliore utilizzo del tempo), dover scambiare cose con altre, negoziare, contrattare, stare attento alla ?pubblica opinione?, interna ed esterna, esercitare in mille maniere ?l?arte del possibile? occupandosi anche di cose improduttive, ma politicamente necessarie, il controllo pubblico potrà spingere anche a ricercare risultati immediati anzichè strategie a lungo termine, i cittadini si aspettano un livello di integrità superiore (il peccato di un prete da più scandalo!).
Implicazioni per la leadership
Come è possibile apprendere tali capacità? Non è altro che l?estensione della vecchia arte del ?governo?, e per questo occorrono massicce dosi di esperienza, e in particolare deve tenere conto e valutare per tempo le probabili reazioni dei costituenti valutandone le ripercussioni politiche in due fasi: comunicazione preliminare ai costituenti dell?entità e dei caratteri del cambiamento organizzativo proposto, e attenta valutazione della loro reazione alla proposta formulata. Ad esempio, una notizia potrebbe essere fatta ?filtrare? attraverso un pettegolezzo e confermata o smentita a seconda delle reazioni. Il consenso è essenziale e senza di esso viene meno il legame con i costituenti. Il manager che sa usare la diplomazia ricerca un equilibrio fra la realizzazione degli obiettivi e le relazioni umane, interpretando sia il ruolo di leader che di servitore prestando particolare attenzione all?uso del potere, utilizzando 5 poteri in contemporanea e a seconda delle situazioni: potere di ricompensa, potere di coercizione, potere di legittimazione, potere di riferimento e infine il (meno importante) potere tecnico.
A cura di Giovanni Marangoni
e Valerio Melandri
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