Non profit

Manager non profit

Qui Bocconi. Al terzo settore occorre la pianificazione

di Redazione

Il veloce sviluppo del settore non profit, da diversi anni in continuo cambiamento, richiede l?introduzione, o la più efficiente applicazione, di strumenti gestionali mutuati dal mondo profit. Le diverse parti della struttura di un?organizzazione non profit devono sviluppare in modo professionale quegli strumenti manageriali che permettono, nel rispetto della mission sociale, un miglioramento qualitativo e quantitativo del bene/servizio prodotto o distribuito. Già da alcuni anni l?attenzione è focalizzata sugli strumenti di gestione del personale (volontario o dipendente), sugli strumenti di raccolta fondi e, cosa non meno importante, sulla contabilità. Un razionale utilizzo di tali strumenti non può prescindere tuttavia dal processo di pianificazione strategica, il cui punto di partenza è l?individuazione degli obiettivi operativi del ciclo economico successivo e la definizione della ripartizione delle risorse disponibili per ottenere questi obiettivi. Pianificare però non significa solo prevedere, ma anche sapere che cosa si è e che cosa si vuol diventare. Se questo è vero per le imprese profit lo è anche per le aziende non profit che hanno come scopo principale la soddisfazione della propria mission. I passaggi fondamentali del processo di pianificazione, nella loro molteplicità, possono essere così sintetizzati: Definizione della ?causa? da sostenere È un punto fondamentale per qualunque operazione di tipo gestionale, e anche nel momento della pianificazione una definizione chiara della ?causa? è necessaria per permettere l?efficacia di tutto il processo. Definizione degli obiettivi Per obiettivi si intendono sia quelli di medio-lungo periodo, cioè quelli che si vogliono raggiungere nel corso dell?anno successivo, sia quelli di lungo periodo, cioè quelli strategici che si perseguiranno in un arco temporale di almeno tre anni. La prima considerazione da fare in questo processo di definizione riguarda il livello qualitativo dei programmi in corso e il contributo da loro dato al raggiungimento dei fini istituzionali. La seconda considerazione deve essere fatta sulle eventuali modifiche e/o integrazioni a questi programmi per adattarli a cambiamenti della mission (cambiamenti endogeni), a cambiamenti sociali (cambiamenti esogeni), oppure semplicemente per aumentarne l?efficacia e l?efficienza. Tali obiettivi devono essere prima definiti in modo generale, ma necessitano successivamente di una più specifica e puntuale definizione perché si possa intervenire sui programmi, sulle attività e sull?allocazione delle risorse. Tutto questo processo permette ai responsabili della pianificazione strategica di capire se gli obiettivi previsti sono in linea con le risorse che l?associazione non profit ha a disposizione per conseguirli. È questa una delle parti più delicate e più difficoltose del processo a causa della struttura delle entrate della non profit. A parte i contributi degli aderenti, valore che difficilmente varia nel giro di un anno, le altre entrate possono subire pesanti variazioni da un anno all?altro: le donazioni così come le sponsorizzazioni sociali possono non essere ripetute, i finanziamenti da parte degli enti pubblici (contratti, convenzioni, trasferimenti a fondo perduto) possono non essere rinnovati, i ricavi dalla cessione di beni e servizi, se attraversano il mercato, sono soggetti a concorrenza e a fluttuazioni non governabili da chi non possiede strumenti gestionali avanzati. Per soggetti che non possono contare sul sostegno degli istituti di credito e che tantomeno possono rivolgersi al mercato dei capitali questa situazione può comportare seri problemi. Diventa quindi fondamentale, per chi pianifica, la conoscenza profonda della realtà esterna e quindi la possibilità di ottenere entrate il più possibile stabili anno dopo anno. Fondamentale anche, affinché questo avvenga, è che gli amministratori garantiscano all?organizzazione una struttura delle entrate il più diversificata possibile e una funzione raccolta fondi sempre in grado di trovare fonti sostitutive. Definizione di meccanismo di monitoraggio La capacità di conoscere l?ambiente esterno, quello interno e le loro modificazioni è basilare per la definizione della pianificazione strategica. Tale meccanismo di monitoraggio deve essere duplice: da un lato deve permettere di capire i fattori ambientali esogeni, dall?altro quelli endogeni. Tra i fattori esterni che devono essere continuamente monitorati vi sono tutti quelli che possono rappresentare opportunità / problematicità per l?organizzazione. Bisogna quindi essere in grado di sviluppare una profonda conoscenza della comunità in cui si opera, dei segmenti di popolazione maggiormente attenti alla ?causa? sostenuta e che aderiscono all?organizzazione, dei programmi di adesione cui tali segmenti sono più sensibili, delle attività di raccolta fondi che riscuotono il maggior consenso, dei grandi eventi che riscuotono il maggior successo, della competizione sulle operazioni di raccolta fondi o sulle campagne di adesione, dei potenziali competitor, cioè di tutti quei fattori strategici che possono determinare il successo o l?insuccesso della propria organizzazione. Il meccanismo di monitoraggio deve essere inoltre in grado di analizzare i fattori interni più significativi, quei fattori cioè che rappresentano i punti di forza e di debolezza dell?organizzazione, e che incidono direttamente sulla sua economicità. Tra di essi vi sono le capacità gestionali della struttura, le capacità del personale specialistico, la capacità di interrelazione con l?ambiente esterno, gli strumenti tecnologici e i mezzi economici a disposizione. Altri due fattori interni importanti nel processo di pianificazione, sebbene difficili da esaminare e quantificare, per l?impatto che hanno sulla performance, sono la cultura dell?organizzazione e la leadership. Queste due variabili, diverse secondo il tipo di organizzazione e l?area geografica, influenzano pesantemente la motivazione dei dipendenti, volontari, e aderenti, la capacità di risolvere i problemi, la creatività, la capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali, la volontà di far evolvere l?organizzazione. Definizione delle priorità Un altro elemento critico per un?associazione non profit, a differenza di un?azienda profit, è la determinazione della tipologia di bene/servizio da produrre e il suo livello quali-quantitativo. Legata a questa vi è anche l?esigenza di individuare quei programmi di miglioramento delle professionalità dell?organizzazione, di aggiornamento del personale specializzato, di addestramento dei volontari, di raccolta fondi, di adeguamento delle tecnologie che rappresentano fattori essenziali per la sopravvivenza stessa dell?organizzazione. La definizione di questi programmi e attività è alla base della decisione di allocazione delle risorse. La determinazione delle priorità è prodromo del problema dell?allocazione delle risorse ai vari obiettivi/programma. Un passaggio fondamentale è proprio questo: determinare quali e quante risorse devono essere destinate a ciascun programma. Non è solo il problema di capire ?quante?, ma vi è anche quello di definire con precisione il tipo di risorse richieste. Esse possono essere materiali o immateriali, monetarie o non monetarie, reperibili all?interno oppure all?esterno dell?organizzazione. L?ammontare totale delle risorse allocabili è fortemente condizionato dal dato storico delle entrate, che, a differenza dalle aziende profit, è l?unico vero punto di riferimento per una non profit. Meccanismo di controllo La pianificazione strategica è un processo in continuo divenire e in costante modificazione. Il processo di controllo non permette solo di valutare l?efficacia e l?efficienza di certi programmi, ma costringe i dirigenti a tenere sotto continuo monitoraggio i costi e l?intero ambiente esterno. Tutto questo contribuisce allo sviluppo di un management capace, preparato e in grado di compiere scelte di pianificazione coerenti con le aspettative dell?organizzazione.


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