“Ci troviamo dal benzinaio, decidiamo di fare il pieno all’ auto e alla cassa al posto che mettere nel portafoglio i 2 euro di resto, decidiamo di lasciarli al cassiere in cambio di un “gratta e vinci”. Tornando alla guida, decidiamo di passare a nostro figlio quel “banalissimo” giochino chiedendogli di divertirsi a grattarlo per tentare la fortuna”
“È il compleanno del nipote e la nonna, non sapendo casa regalargli, optaper un bel biglietto d’auguri, una piccola mancia (forse per lei non sufficiente rispetto a quello che vorrebbe donare al nipote) e un “gratta e vinci”, così che quella mancia possa accrescere nel caso in cui la dea bendata arrivi in soccorso”.
Sono esempi di vita vissuti, che tutti nella vita abbiamo osservato o sperimentato in prima persona: Che “intenzione educativa” mettiamo in quel gesto? Cosa stiamo trasmettendo ai nostri figli/nipoti? Quanto incide questo comportamento sul possibile sviluppo di una vera e propria patologia chiamata GAP (gioco d’azzardo patologico)?
Su un campione di oltre 15.000 studenti delle scuole superiori della Lombardia *, tra quelli che hanno dichiarato di aver giocato d’azzardo per la prima volta in età inferiore ai 10 anni, l’84% sottolinea di averlo fatto con i propri genitori mediante “gratta e vinci”.
Correlando i dati, è possibile osservare come il “gratta e vinci” è diventato il gioco a cui i giovani si approcciano in età più precoce, stimolati dalle stesse figure di riferimento con cui vivono.
Come si può immaginare che i nostri figli crescano con la percezione del pericolo, se si è i primi a normalizzare un comportamento potenzialmente patologico? Se viene considerato comune “tentare la fortuna” o viene valutato divertente giocare d’azzardo, se non si riesce a comprendere la pericolosità di un gesto apparentemente banale, come si può pretendere che i ragazzi ne percepiscano il rischio?
A volte si pensa che i comportamenti disfunzionali risiedano lontani dalle nostre case, dalle nostre famiglie e che non potrebbero mai “colpire” i nostri figli, ma forse questa prospettiva allontana dall’idea che essere genitori, nonni o figure di riferimento significa in primo luogo essere educatori; per poterlo essere abbiamo l’obbligo di riconoscere i pericoli e di trasmetterli ai giovani per permettere loro di agire responsabilmente.
Ilaria Albertin -Semi di Melo
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