Famiglia

Mamme a rischio, il sostegno del giorno prima

Il progetto Diventare Genitori del Caf di Milano

di Benedetta Verrini

In pochissimi casi le donne con situazioni difficili si rivolgono ai servizi sociali. Così i conflitti esplodono sulla pelle dei bambini. «Per questo è strategico attivarsi in anticipo», spiega Marco Pietropolli Charmet Andare in avanscoperta. Sviluppare una metodologia innovativa e scommettere sulla risposta del territorio. Fare prevenzione proprio là dove nasce il malessere. Per il suo trentennale, il Caf di Milano, il Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi, spinge in avanti la sua sfida verso la tutela dei minori in situazioni di disagio. E lo fa inaugurando un nuovo modello d’intervento.
Il progetto si chiama «Diventare Genitori» e usa lo strumento dell’home visiting per prevenire il maltrattamento dei bambini nell’ambito di famiglie a rischio. «In pratica, abbiamo deciso di combattere un vecchio tranello. Quello di credere che le donne in difficoltà siano in grado di rivolgersi ai servizi per superare i propri problemi. Non stiamo ad aspettarle, andiamo noi da loro», sintetizza Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra tra i maggiori esperti di disagio infantile e adolescenziale, presidente Caf e direttore scientifico del progetto.
Vita: Quale è stata la genesi di un progetto così innovativo?
Gustavo Pietropolli Charmet: Siamo partiti dalla nostra trentennale esperienza di presa in carico di minori allontanati dalle famiglie d’origine a causa di abusi e maltrattamento. Conosciamo i meccanismi che fanno scattare la violenza sui bambini e a un certo punto ci siamo chiesti: «Cosa impedisce il decollo della competenza materna o paterna in questi genitori?».
Vita: Che cosa?
Charmet: Una buona partenza. Nonostante il contesto di isolamento, difficoltà ed emarginazione, se si riesce a sostenere la madre nella primissima fase dopo il parto e nell’accudimento del neonato, si svilupperà in lei quell’attaccamento necessario a proteggerlo dalle situazioni di violenza striscianti nella casa. Ci sono studi europei e americani che lo dimostrano: questo intervento precoce comporta una grande diminuzione delle situazioni di disagio.
Vita: State lavorando da più di un anno con oltre 20 famiglie. Quali sono stati i criteri di selezione?
Charmet: Le madri in attesa ci sono state segnalate dai servizi: la casistica riguarda famiglie multiproblematiche; madri sole o minorenni; partner violenti; comportamenti sociali a rischio; condizioni economiche difficili; trauma della migrazione.
Vita: Entrare in queste case non deve essere facile.
Charmet: Non lo è. Ma l’home visiting rappresenta il nocciolo duro del progetto, ciò che rende il servizio all’avanguardia. Mi spiego: tutto questo non ha nulla a che vedere con l’assistenza domiciliare, che in Italia ha una valenza di controllo e comunque di assistenza. In questo percorso il Caf ha prospettato alle madri un aiuto a domicilio, per una-due volte la settimana, da parte di una operatrice appositamente formata. L’elemento dell’assenso e della volontarietà è fondamentale per la riuscita.
Vita: E come è andata?
Charmet: Molto bene, se si pensa alla complessità dell’intervento. Stiamo parlando di un approccio psico – socio – pedagogico in un contesto estraneo, spesso caotico, a volte ostile; l’obiettivo del progetto è realizzare una condivisione di esperienza.
Vita: Quanto costa una cosa del genere, in termini di sforzo gestionale e organizzativo, oltre che economico?
Charmet: Abbiamo scelto di utilizzare le risorse per iniziative sostenibili scientificamente ma che, per il loro carattere innovativo, i servizi pubblici non realizzerebbero mai. Andiamo in avanscoperta con l’idea che, un domani, questi modelli operativi potranno essere acquisiti e diventare la norma. L’intervento domiciliare, ad esempio, rappresenta lo strumento del futuro: gli utenti dei servizi saranno sempre più spesso persone che non escono dal loro guscio, che per ragioni individuali, sociali o culturali – si pensi all’ondata migratoria – non sanno come chiedere di essere aiutati.
Vita: È possibile che questo modello diventi oggetto d’impresa sociale?
Charmet: Assolutamente sì. Va a leggere i bisogni direttamente dove si sviluppano. Richiede molte risorse economiche ma ha anche grandi spazi di efficacia, soprattutto nella prevenzione di costi socio sanitari successivi. È assolutamente competitivo e supera, per intenderci, il modello del poliambulatorio, quello con servizi di visita, colloqui e dépliant. Qui siamo già in una nuova frontiera.


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