Non profit

Mamma che mamme!

di Redazione

Mirino puntato su piccole sfide dal grande impatto: dalle strisce pedonali al Pm10. Messaggi postati nottetempo, quando la prole dorme e sulla banda per gestire flussi di email non c’è traffico. Mailing list coltivate e coccolate come fossero rare orchidee, da innaffiare quotidianamente, perché il tam tam, meglio se infarcito di video linkati a YouTube, è il vero motore per trasformare la tua idea in progetto. Il tuo post da sterile sfogo a seme di cambiamento. E, perché no?, il tuo impegno in un lavoro che consenta davvero di conciliare lavoro e famiglia.

Vite in corsa
Armato di pc portatili e chiavette usb, e spronato da un’urgenza dell’agire che ti senti in pancia ancor prima che nel cervello, sulla scena è spuntato un nuovo tipo di potere, quello di mamma. Non potere d’acquisto, esiste da mo’. Il potere di cambiamento. Sociale e politico. Una forza che spiazza – perfino il premier inglese Gordon Brown e il suo rivale David Cameron costretti a riscrivere l’agenda elettorale dal potente Mumsnet – perché non prevista. Perché si muove sul doppio binario di Internet e del territorio, usando il primo per fare, aggregare e agire nel secondo. Perché i bisogni che la mamma tocca quotidianamente con mano, e in cui è immersa fino al collo, spingono a fare senza rispettare i dogmi che regolano, e frenano, l’azione del manager: dalla paura di sbagliare a quella di avere obiettivi troppo piccoli fino al business plan. Se c’è bene, se no si fa anche senza. Più inconsciamente, ma anche buttando più velocemente il cuore oltre l’ostacolo.
La mamma agente di cambiamento coglie alla sprovvista perché non ha tempo da perdere: troppe cose da smarcare per non farle bene al primo tentativo, troppa urgenza di risolvere questioni che nessun altro affronterà per lei, onestamente e a testa bassa come lei. E sono queste questioni – insieme allo strumento Internet – che rendono il potere di mamma di oggi diverso da quello di una generazione fa. Più pragmatico ed efficiente e meno ideale. Più egoista, anche: le mamme hanno sempre dato, aggregato, fatto. Con un volontariato dedicato all’altro, però: dalla parrocchia alle fasce deboli, agli animali.

Nuove regole
L’impegno, oggi, è guidato dall’urgenza dell’agire per sé e per la propria famiglia. Per far respirare meglio i figli, per avere una scuola pubblica di qualità, un parco sicuro e pulito, per godersi la città e, soprattutto, per un bisogno, tuo, di conciliazione. Di inventarti un modo diverso di stare in equilibrio tra i vari ruoli della vita che ricopri. Di reinventarti. Di trasformare la rabbia che ti prende quando, dopo anni di lavoro, diventi mamma e qualcuno ti mette un tappo in testa, in creatività e imprenditorialità: come ne esco? Cosa mi invento?
Quando, neomamma, lasci l’azienda o ti fanno lasciare il lavoro, ai piani alti come ai piani bassi (e soprattutto ai bassi quando all’ora non guadagni più di una tata), la strada si biforca: ti arrendi e ti consumi nella rabbia o capisci che, paradossalmente, sei in una posizione di vantaggio. E agisci, attivi, aggreghi. Le mamme su Facebook, con una campagna ideata in pausa pranzo che porti a manifestare contro lo smog. I genitori della scuola in un gruppo di acquisto solidale e in un orto. Messaggiando, postando, allacciando mondi.
Di blog in blog, di mailing list in mailing list, da Twitter alla sala d’aspetto del pediatra. Il potere di mamma non era previsto perché banalizzato in un fenomeno elitario – le mamme online che si sfogano nei blog – o in pura ambizione di voler continuare a giocare scrivendo nuove regole. Già. Ma con la forza di chi è abituato a sgobbare, a fare rete per tappare le emergenze logistiche, a non vergognarsi di agire in piccolo anche se pensa molto in grande. L’impatto di questo nuovo attivismo, che non ha loghi di associazione né confessioni? Un primo dato, purtroppo, è chiaro: il suo modello “a flipper”, di azione che rimbalza dal cortile della scuola al web, funziona solo al Nord. Sotto al Lazio, la blogsfera delle mamme si perde in una nebulosa. In connessioni lente e in antichi, ma diffusi, preconcetti.

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