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Mali: raid aviazione francese, notevole la resistenza dei ribelli

di Giulio Albanese

Continua, senza sosta, la missione di guerra francese in Mali. Si tratta, soprattutto, di raid aerei a ripetizione contro le forze ribelli di matrice jihadista che controllano la regione settentrionale dell’Azawad. Ma la resistenza dei miliziani è notevole, a riprova che sono meglio equipaggiati ed addestrati di quanto Parigi si aspettasse, grazie alle armi saccheggiate dai depositi libici dopo la caduta nel 2011 del regime di Gheddafi. Al momento, è praticamente impossibile sapere quale sia il bilancio delle perdite tra le forze jihadiste, ma è certo, stando a fonti indipendenti, che vi siano numerose vittime tra i civili. Sul piano del sostegno internazionale all’operazione, Stati Uniti e Gran Bretagna stanno fornendo appoggio logistico. Intanto, questa sera, sono arrivati in Mali i primi ufficiali della forza della Ecowas/Cedeao (Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale) che organizzeranno l’arrivo delle truppe africane incaricate di scalzare, con l’avallo dell’Onu, i miliziani insediati da nove mesi nell’Azawad. L’obiettivo dell’intervento militare francese, iniziato venerdì scorso, sarebbe quello di ripristinare la sovranità del Mali nell’Azawad. Ci si chiede però quale sovranità sarà possibile instaurare da quelle parti, viste le condizioni di degrado e frammentazione in cui versa lo Stato centrale maliano. In particolare, le divisioni sia all’interno dei circoli politici e militari a Bamako e dintorni, rappresentano una forte incognita. Comunque, l’operazione militare francese potrebbe imporre al conflitto maliano una svolta decisiva, anche se gli analisti invitano alla cautela. Dal mio punto di vista, il rischio è che, una volta braccati, i gruppi jihadisti possano contaminare alcuni Paesi dell’Africa Occidentale. Un’eventualità che, peraltro, riproporrebbe uno scenario molto simile a quello della Somalia, ancora oggi parcellizzata in zone sotto il controllo di numerosi “signori della guerra”. Alla prova dei fatti, la Francia di Hollande è, ancora una volta, protagonista nelle vicende africane (come già accaduto in Costa d’Avorio e in Libia ai tempi di Sarkozy), perseguendo logiche che servono a tutelare i suoi tradizionali interessi geostrategici. Qui è in gioco, certamente, la lotta al feroce terrorismo islamico, anche se poi manca tuttora, in sede internazionale, la volontà politica di fare chiarezza sul vero grande “sponsor” che foraggia i predoni. Dietro le quinte, c’è, infatti, il movimento salafita, di origine saudita, lasciato troppo libero d’interferire nelle vicende africane. Ma Parigi guarda anche al mantenimento dei propri privilegi in territori ricchi di petrolio, uranio e quant’altro. Anni fa, il governo di Bamako e i Tuareg stipularono un accordo di pace in piena regola, che non ha però impedito la ripresa della belligeranza perché le terre delle popolazioni nomadi sono rimaste lontane dagli occhi e dal cuore del potere centrale. È su questo sfondo che si gioca una partita che potrà davvero risolversi solo quando il Mali e gli altri Stati africani saranno in grado di risolvere la palese contraddizione tra il possesso di grandi risorse energetiche del sottosuolo e l’affermazione di condizioni sociali ed economiche più consone alla dignità delle popolazioni autoctone. E su questo tema, le grandi democrazie occidentali non possono sottrarsi alle loro responsabilità.

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