Detenzione
Malattia mentale, il Csm: ancora troppe falle nel sistema nato dopo la chiusura degli Opg
A dieci anni dalla legge 81/2014 che ha superato gli Ospedali psichiatrici giudiziari - Opg, il Consiglio superiore della magistratura avanza alcune proposte per ridisegnare il sistema delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza - Rems
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Più spazi ma soprattutto più spazio alle riforme. È necessario ampliare il numero e la capienza delle sedi, riscrivere prassi e ridisegnare l’architettura del sistema per far ripartire le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza – Rems, le strutture sanitarie che accolgono gli autori di reati affetti da disturbi mentali.
Servono nuove procedure e un diverso ruolo degli attori in campo. A dieci anni dalla legge 81/2014 che ha superato gli ex “manicomi criminali”, il Consiglio superiore della magistratura – Csm pubblica un documento che analizza e avanza proposte sul “problema” delle Rems, frutto del lavoro dalla Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale.
Un problema «grave e attuale», si sottolinea, che si somma alle croniche criticità del nostro sistema penitenziario: il sovraffollamento carcerario, la precarietà dell’assistenza sanitaria all’interno delle carceri (di competenza regionale), il difficile equilibrio tra afflittività della pena, disagio psichico e misure di sicurezza.
Come snellire le liste di attesa e i ricoveri inappropriati
La Commissione mista, al termine del confronto con i rappresentanti dei ministeri della Giustizia e della Salute, suggerisce due strade per provare a uscire dal tunnel. La prima è una «una generale e ragionata revisione del numero e dei posti all’interno delle Rems» che salvaguardi tuttavia il principio di territorialità della misura. Nelle 32 residenze esistenti al momento – il documento sottolinea che sono «inspiegabilmente assenti in Calabria e Umbria» – ci sono poco più di 600 posti ma ne servirebbero almeno altrettanti per ridurre le liste di attesa.
Secondo il rapporto sono circa 700 i soggetti in coda, di cui 45 detenuti sine titulo. Persone cioè che sono in carcere ma non dovrebbero starci in quanto affetti da disturbi psichiatrici. La seconda direttrice consigliata è l’aumento a medio termine dei Centri di igiene mentale e delle strutture di accoglienza sul territorio. Le residenze che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari – Opg, infatti, non solo sono insufficienti ma ospitano persone che dovrebbero essere accolte in altre strutture.
Nel documento del Csm e nelle audizioni preparatorie, non a caso, viene sollevato il problema del «frequente “abuso” del ricorso alla non imputabilità anche per categorie diagnostiche che non la determinano, quali i disturbi della personalità». Si tratta dei cosiddetti “antisociali”, persone (talvolta anche tossicodipendenti) che «non necessitano di presa in carico dai parte dei servizi sanitari, quanto piuttosto di contenimento», come segnala l’audizione di Giuseppe Nicolò, vicepresidente del Tavolo tecnico sulla salute mentale presso il ministero della Salute.
Più reparti per tossicodipendenti e tre Rems di alta sicurezza
Secondo i dati forniti di recente dal Collegio nazionale dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm) nel documento programmatico sulla giustizia, circa il 10-15% dei detenuti è affetto da disturbo mentale grave. Si tratta di una fetta di popolazione carceraria fra i 6mila e i 9mila reclusi su oltre 60mila ristretti. È noto, ricorda il Csm, che la riforma della Sanità penitenziaria del 2008 e il successivo superamento degli Opg nel 2014 hanno previsto percorsi trattamentali e giuridici differenziati per le due categorie dei “folli rei” e dei “rei folli”.
Mentre i primi sono di fatto affidati alla sanità territoriale, spesso «a detrimento delle funzioni di cura di pazienti psichiatrici non autori di reato, ed anche con evidenti problematiche sotto il profilo prettamente custodiale, che viene di fatto demandato al Servizio sanitario nazionale», i secondi invece entrano nel circuito penitenziario «e dunque la garanzia della cura viene assicurata nei circuiti detentivi o ricorrendo a misure alternative».
La riforma del 2014, in particolare, ha stabilito che i “rei folli” in quanto “imputabili” espiino la pena in carcere in sezioni specialistiche dedicate ai disturbi mentali, le Articolazioni per la tutela della salute mentale – Atsm. Attualmente, nonostante la presenza di un numero sempre maggiore di persone affette da disturbo mentale (molte delle quali con disturbo da uso di sostanze), le sezioni dedicate «non riescono assolutamente a rispondere in maniera adeguata alle esigenze di cura».
Le articolazioni sono presenti in 33 istituti penitenziari per un totale di 320 posti circa che corrispondono più o meno allo 0,5% della popolazione detenuta. Succede così che, pur se destinati a questi reparti, i detenuti “psichiatrici” finiscano per essere spesso allocati nelle sezioni comuni degli istituti «in totale promiscuità con la restante popolazione».
La Commissione mista chiede pertanto il potenziamento delle Atsm negli istituti penitenziari e la realizzazione di apposite sezioni specialistiche psichiatriche per soggetti tossicodipendenti con comorbilità.
Il Csm avanza, inoltre, l’idea di dar vita a un “doppio” circuito che distingua tra pazienti stabilizzati in grado di seguire un percorso di riabilitazione psichiatrica finalizzato a un prossimo reinserimento sociale e soggetti con un profilo di pericolosità bisognoso di contenimento. Il Csm ipotizza a tal proposito l’individuazione di tre Rems di alta sicurezza con prevalenza del profilo custodiale, da distribuire nelle tre aree geografiche (Nord, Centro e Sud) e da affidare alla polizia penitenziaria.
L’albo dei periti e facilitare lo scambio di informazioni
Il rapporto propone la costituzione di un osservatorio per il monitoraggio dei dati e l’istituzione di un albo specializzato di periti del giudice, professionisti appositamente formati per valutare la capacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale del soggetto.
Caldeggia, inoltre, l’individuazione di meccanismi operativi che consentano un efficace scambio tra servizi sanitari e magistratura in modo da consentire all’autorità giudiziaria «di intervenire celermente per rivalutare i profili di rilievo, eventualmente modificando la misura di sicurezza applicata, qualora l’osservazione clinica svolta dagli operatori sanitari dia conto di discrasie e divergenze rispetto alle valutazioni già effettuate, sia con riferimento alla capacità di intendere e di volere, che in relazione alla pericolosità sociale».
Il ministero della Giustizia al centro della governance
Il Csm sollecita infine il Parlamento a «riconoscere al ministero della Giustizia la gestione delle Rems in leale cooperazione con le restanti figure istituzionali». Vecchia questione, si dirà.
La stessa Corte costituzionale nel 2022 ha rimarcato la necessità di «assicurare una esplicita base normativa allo stabile coinvolgimento del ministero della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle Rems esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario, anche in vista dell’eventuale potenziamento quantitativo delle strutture esistenti o degli strumenti alternativi».
Secondo il Csm, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero, dovrebbe esercitare un “ruolo di chiusura” non solo del sistema amministrativo di assegnazione degli interessati alle Rems «ma anche del meccanismo di individuazione di percorsi alternativi per i pazienti autori di reato».
Nell’immagine in apertura ora d’aria all’ex Opg di Aversa nel 2007- Foto di © Antonio Tiso/Sintesi
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