Salute&Società

Alzheimer: mai troppo presto, mai troppo tardi per la prevenzione

Il Rapporto mondiale Alzheimer 2023 diffuso in occasione della giornata mondiale dedicata alla malattia parla di prevenzione, agendo sui fattori di rischio sarebbero evitabili o posticipabili il 40% dei casi. I governi del mondo si interrogano sulle strategie da attuare di fronte al rapido e inarrestabile aumento di casi

di Nicla Panciera

La rapida e inesorabile crescita dei casi di demenza nel mondo riguarda anche il nostro Paese, dove si attendono 2,3 milioni di casi entro il 2050, un aumento del 56% rispetto alla prevalenza attuale che è stimata sul milione e mezzo di pazienti, di cui cui 720mila da Alzheimer. Di fronte a queste cifre, che descrivono un’emergenza sanitaria globale, sorprende lo scarso impegno verso la prevenzione che, secondo gli studi scientifici, consentirebbe di ritardare la comparsa, rallentare la progressione o addirittura scongiurare il 40% dei casi di demenza. Quindi, 55 milioni di casi, essendo i pazienti nel mondo destinati a raggiungere quota 139 milioni entro il 2025. Per questo, la riduzione del rischio è al centro del Rapporto mondiale Alzheimer 2023, intitolato “Ridurre il rischio di demenza: mai troppo presto, mai troppo tardi”, presentato in occasione della XXX Giornata Mondiale Alzheimer.

Il rapporto contiene gli interventi di circa 90 ricercatori di alto profilo, operatori sanitari, politici, persone che vivono con demenza e operatori sanitari, e un decalogo finale con i consigli per una efficace riduzione del rischio. «La decisione di affrontare il tema della prevenzione anche dal punto di vista pratico viene dalla constatazione, anche da parte dei massimi specialisti, dello scarso impegno per contrastare la demenza agendo sui fattori di rischio modificabili nonostante le robuste evidenze» ci spiega Paola Barbarino, amministratrice delegata di Alzheimer’s disease international Adi, federazione mondiale delle associazioni della società civile, il cui membro italiano è Federazione Alzheimer Italia.

Quando la buona volontà non basta

I fattori di rischio sui quali agire sono dodici: fumo, attività fisica, alcol, inquinamento, trauma cranici, isolamento sociale, basso livello educativo, obesità, ipertensione, diabete, depressione e problemi all’udito. «Dall’elenco si evince facilmente» commenta Barbarino «che alcuni di questi sono di responsabilità del singolo individuo, chiamato a cambiare attivamente il proprio stile di vita in linea con le indicazioni, mentre altri richiedono interventi a livello governativo o di più ampia scala. Parliamo della promozione della scolarità, in particolare delle donne cui la formazione è preclusa in molte aree del mondo e questo significa condannarle a un decadimento cognitivo evitabile; quindi, la riduzione dell’esposizione all’inquinamento, dal momento che sempre più studi mostrano la sua associazione con la comparsa di demenza». Secondo un’indagine del Guardian (basta un’occhiata alla mappa), il 98% degli europei respira aria inquinata con livelli di particolato sottile che eccedono i limiti dell’Oms e due terzi vivono in aree dove tali livelli sono addirittura il doppio di quelli raccomandati. Quanto all’Italia, l’indagine del Guardian evidenzia che un terzo dei residenti della pianura padana e delle aree a nord del Po respira aria dove il particolato è quadruplicato rispetto ai valori soglia.

Paola Barbarino
Paola Barbarino, amministratrice delegata di Alzheimer’s disease international Adi

Fattori di rischio comuni

Alcuni di questi fattori di rischio, inoltre, sono comuni ad altre malattie non trasmissibili e sono quindi già oggetto di campagne di comunicazione anche piuttosto ampie. «I fattori di rischio più peculiari delle demenze, invece, sono quelli di cui si parla meno e su cui molto ci sarebbe da lavorare a livello governativo» commenta Barbarino, riferendosi all’educazione, alla socialità, alla depressione e all’inquinamento. «La società civile e l’associazionismo sono fondamentali su tutto, svolgono un grande lavoro di comunicazione e di informazione, ma è importante rivolgersi ai governi, che su questo hanno potere decisionale ma ancora ignorano questi aspetti spaventati dai costi di eventuali misure di intervento. Le stime di incidenza dovrebbero invece spingere verso l’azione». Anche perché la demenza è ovunque nel mondo e i paesi, come l’Italia, dove la cura dei familiari è a carico dei singoli potrebbero anche verificarsi carenze di caregivers qualificati. «La demenza è un problema di tutti, anche dei paesi ricchi, come è emerso anche al G7 Salute di Nagasaky lo scorso maggio» dice Barbarino. Quanto ai caregivers, c’è la questione delle competenze: «Come Adi, stiamo ricevendo moltissime richieste di accreditamento per la formazione di caregivers» conferma Paola Barbarino, invitata a intervenire al Senato alla conferenza stampa, promossa dall’intergruppo parlamentare Alzheimer e neuroscienze, dove si è anche tornati a parlare di costi, stimati in circa 15,6 miliardi di euro l’anno, l’80% dei quali sostenuti direttamente dai pazienti e dalle loro famiglie. I paesi stanno ragionando sul da farsi, il modello attuale non è sostenibile.

Lavorare sull’ambiente

Ogni tre secondi qualcuno sviluppa la demenza. Va anche ricordato che non ci saranno cure residenziali per tutti, i pazienti dovranno vivere il più a lungo possibile a casa propria (la vita dopo la diagnosi è stata oggetto del rapporto Adi 2022). Per questo è importante adattare gli spazi e i servizi pubblici, renderli “dementia friendly”, che è anche un modo per creare consapevolezza in coloro i quali non hanno ancora problemi cognitivi, promuovendo la prevenzione.

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C’è molto da fare anche dopo la diagnosi

Attualmente, si stima che 55 milioni di persone in tutto il mondo vivano con una condizione neurologica, che due terzi delle persone credono ancora erroneamente sia una parte normale dell’invecchiamento. D’altra parte, la maggior parte delle forme di demenza sono condizioni degenerative, nel senso che peggiorano tempo e il progresso della condizione è di solito irreversibile. Il punto IV del decalogo Adi recita: «La riduzione del rischio non si esaurisce con la diagnosi: le persone affette da demenza possono attuare cambiamenti salutari nello stile di vita volti a rallentare la progressione della patologia». Commenta Barbarino: «Quando però arriva la diagnosi, spesso le famiglie si trovano sole, i pazienti sconvolti, invece è importante sapere che ci sono ancora molte cose da poter fare e che spesso passano degli anni prima che il decadimento cognitivo diventi importante. Esattamente come forniamo strumenti importanti a chi ha una disabilità fisica affinché possa vivere la propria vita al meglio, così a chi ha una demenza andrebbero forniti contesto e ambienti per una vita degna. Invece, c’è spesso l’isolamento e lo stigma, il nostro peggior nemico. Il rapporto 2024 sarà dedicato a questo, un aggiornamento di quello del 2019, perché ci sono tutti i segnali che la pandemia abbia peggiorato le cose».

Il finanziamento del piano nazionale demenze

«In Italia, ci si sta muovendo, c’è molto dialogo tra istituzioni e associazioni, con linguaggio e obiettivi comuni» commenta Paola Barbarino, considerando le dinamiche che ben conosce dei vari paesi. In Italia, nei prossimi mesi si esaurirà lo stanziamento economico di 15 milioni di euro in tre anni per il Piano Nazionale Demenze, previsto dalla legge di Bilancio del 2021. «Il lavoro iniziato grazie a questi fondi non deve essere interrotto e per questo chiediamo con forza al Governo di garantirne di nuovi. C’è ancora molto da fare non solo nel campo della diagnosi tempestiva e del supporto post diagnostico, ma anche per quanto riguarda l’intervento sui fattori di rischio» fa sapere in una nota Federazione Alzheimer Italia, la cui presidentessa Katia Pinto: «La politica deve mettere in atto azioni concrete per migliorare la qualità della vita di chi convive con questa condizione. Ma tutti possiamo fare la nostra per aiutare le persone con demenza e costruire una società più inclusiva».

All’appello si aggiungono anche le società scientifiche, come l’Associazione italiana di psicogeriatria Aip, la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie Simg, la Società italiana di neurologia Sin e l’associazione per le demenze  Sindem, che sottolineano come fino al 60% di queste risorse sono state utilizzate per assumere personale con competenze neuropsicologiche nei Centri per Disturbi Cognitivi e Demenze e il rimanente per la realizzazione di progetti e iniziative che non devono interrompersi. Auspicano che «sia previsto nella Legge di Bilancio in discussione nel Parlamento un rifinanziamento del Fondo per l’Alzheimer e le Demenze ed anche, per la prima volta,  un finanziamento dell’aggiornamento del Piano Nazionale delle Demenze. È fondamentale che la più grande attività di sanità pubblica mai condotta in Italia sul tema delle demenze prosegua nell’interesse delle migliaia di pazienti, familiari e operatori socio-sanitari coinvolti».

Questa sera molti palazzi istituzionali si tingeranno di viola, colore del non ti scordar di me, «come segno di vicinanza ai tanti pazienti italiani affetti da Alzheimer e alle loro famiglia, e come segnale di vicinanza istituzionale ai tanti medici e ricercatori ome segno di vicinanza ai tanti pazienti italiani affetti da Alzheimer e alle loro famiglia, e come segnale di vicinanza istituzionale ai tanti medici e ricercatori» hanno annunciato la senatrice Beatrice Lorenzin e l’onorevole Annarita Patriarca, presidenti dell’intergruppo Parlamentare Alzheimer e Neuroscienze.

Foto di apertura: dal rapporto Adi Ridurre il rischio di demenza: mai troppo presto, mai troppo tardi

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