Famiglia

Mai più schiava, di un uomo o un’idea

La sua autobiografia e' quella di moglie musulmana umiliata da un marito tiranno è un successo mondiale. Il suo impegno è liberare le donne dell'Islam.

di Redazione

Schiava di mio marito
di Tehmina Durrani
Mondadori

Nella vita può capitare di incontrare persone straordinarie, che trasmettono energia e sicurezza interiore: Tehmina Durrani è una di queste. Musulmana di Lahore (Pakistan), 45 anni, divorziata da un marito ricco e potente, ma violento, madre di cinque figli cresciuti da sola tra enormi difficoltà, è salita alla ribalta grazie alla coraggiosa autobiografia tradotta in 36 lingue My Feudal Lord (pubblicato in Italia da Mondadori, con il titolo Schiava di mio marito) in cui narra le angherie subite dall’ex-marito. Tehmina ha sconvolto l’Islam con la sua visione rivoluzionaria del ruolo femminile nella società musulmana, e se non verrà messa a tacere dalla violenza fondamentalista, potrà essere ricordata come una novella Lutero dell’Islam.
Vita: Signora Durrani, nella sua autobiografia ha raccontato senza reticenze il suo matrimonio da incubo. Come ha potuto uscirne?
Tehmina Durrani: La mia è una storia uguale a tantissime altre. Come tutte le figlie dell’alta società pakistana ero destinata a un matrimonio con un uomo facoltoso. Così è stato. Agli inizi ero innamorata di Mustafa: le cose sono però cambiate quando mio marito si è rivelato nella sua vera natura, violenta e aggressiva. La sua gentilezza nella vita pubblica scompariva quando entrava in casa, dove voleva essere il signore assoluto, al punto da pretendere di avere un’amante legittima. Quando scoprii la sua relazione chiesi il divorzio, ma mi scontrai con la legge feudale musulmana secondo cui il marito detiene ogni diritto sulla moglie. Solo quando riuscii a compiere delle registrazioni di lui e l’amante nella sua auto, esibendole come prove, ottenni il divorzio.
Vita:E allora iniziò un momento forse ancora più difficile…
Durrani:Il prezzo da pagare fu alto: come divorziata persi supporto finanziario e custodia dei figli, che ho riacquistato poco tempo fa. Mi isolò anche la famiglia. Quando il mio libro fu pubblicato in Pakistan generando un’ondata di scandalo mio padre in una conferenza stampa dichiarò che mi disconosceva, mi diseredava e mi proibiva di usare il suo nome. Cosa che naturalmente non ho fatto.
Vita:Qual è il suo impegno oggi?
Durrani:Sto lanciando il movimento internazionale, Ana Hadjra Labaek, un global forum per le donne musulmane, per dare una risposta all’immagine corrente di un Islam con barba e turbante che relega le donne in una posizione di secondo piano in cui rimangono soggiogate non solo dagli uomini, ma anche dalle donne, condizionate da un’impostazione patriarcale. Abbiamo un sito, www.anahadjra.org, perché credo che le tecnologie possano essere utilizzate per il riscatto sociale.
Vita:Quali sono gli ostacoli da superare?
Durrani:Ne vedo due: il primo è la paura dello sconvolgimento che colpirà l’attuale equilibrio maschile, il secondo sarà il difficile raggiungimento di un riconoscimento della posizione delle donne nella società islamica. Ma sono fiduciosa perché credo che l’importante sia creare una piattaforma di base in cui le donne islamiche possano sentirsi unite.
Vita:I media parlano di Islam principalmente riferendosi ai fondamentalisti o agli attacchi terroristici. Ma l’Islam è solo questo?
Durrani:Purtroppo il mondo vede la nostra religione come un culto medievale, siamo più disprezzati che rispettati. Lo stesso Corano è ridotto a parole sterili e staccate dalla pratica quotidiana, interpretate spesso per il personale tornaconto del potente di turno. Il popolo è affamato e arrabbiato, l’essenza è persa. L’Islam non è più percepito come una garanzia di giustizia e per questo, avendo una religione non interpretata correttamente, perdiamo l’intenzione originale di Dio che aveva posto come una delle colonne dell’Islam il perenne ricordo di Hadjra.
Vita:Hadjra, cioè colei che dà il nome al vostro movimento. Chi era?
Durrani:Era la domestica etiope di Sara, moglie di Abramo. Venne scacciata, con il figlioletto Ismail, perché Sara non voleva divenisse l’amante del marito. Così fuggì con il piccolo nella valle della Mecca, dove scarseggia l’acqua, e continuò a vagare da una montagna all’altra in cerca di acqua per il suo bambino. Una situazione drammatica che la trovò, però, pronta e responsabile: una madre isolata dalla società ma coraggiosa, che non aspettava un miracolo. Eppure, quando aveva perso la speranza, in un luogo inaspettato l’acqua cominciò a zampillare. È quello che nella cultura islamica è denominato Zam Zam, fontana apparsa nel cuore del deserto. In quel luogo è stata costruita una città e lì si trova la tomba di Hadjra. Una serva nera riposa di fianco alla casa di Allah, alla Kaaba.
Vita:Un esempio per le donne islamiche?
Durrani:Sì. Fra tutta l’umanità, una donna; fra tutte le donne, una schiava e fra tutte le schiave una nera. La più debole e più umiliata, come le donne dell’Islam che oggi sono la parte più oppressa dell’umanità.
Vita:Cosa si aspetta dai Paesi occidentali?
Durrani:L’attenzione dei media e delle istituzioni, per non essere dimenticati. Ana Hadjra vuole essere una mano di speranza per il mondo islamico e di fraterna amicizia per l’intero pianeta.

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