Salute

Mai come ora abbiamo bisogno di un’infermieristica di famiglia e di comunità

Se si vuole fare davvero prevenzione bisogna fare ricorso a chi sta più vicino al cittadino. Per questo, nel prossimo futuro, gli infermieri giocheranno un ruolo sempre più attivo nell'educazione sanitaria, nella lettura dei bisogni sociali e nella risposta alle fragilità. Ne parliamo con Paola Obbia, presidente di AIFEC, l'Associazione infermieri di Famiglia e di Comunità

di Marco Dotti

L’infermieristica italiana paga uno scotto principalmente mediatico e di riconoscimento della professione. Purtroppo, nel 2021, ancora non c’è una chiara comprensione di cosa sia il lavoro dell’infermiere. Nei reparti ospedalieri, forse, le cose sono migliorate dopo la pandemia. Si è iniziato a comprendere di più – e meglio – l’importanza di questa professione. Ma sul territorio?

Nei giorni scorsi, una serie di organizzzioni del settore socio-sanitario privato (Uneba, Anaste, Ansdipp, Aris, Agespi) hanno scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio. La ragione? Sono entrate in una «grave situazione di emergenza per effetto della sopravvenuta carenza di infermieri i quali, in relazione alla pandemia da Covid.19, sono esodati in massa verso le strutture ospedaliere pubbliche». La dialettica pubblico-privato è entrata in crisi, le conseguenze ricadono sul territorio, che rimane sguardito.

Insegnava Florence Nightingal, l'infermieristica «non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione». Nata il 12 maggio 1820, Nightingale è la fondatrice delle scienze infermieristiche moderne ed è in suo onore che, ogni anno, si celebra la Giornata internazionale dell'infermiere. Un'occasione importante per riflettere sul senso di una professione (e di una vocazione) sempre più centrale nei sistemi di cura.

Ne parliamo con Paola Obbia, presidente di AIFEC, l'Associazione infermieri di Famiglia e di Comunità.

Andiamo al cuore della questione: che percezione abbiamo, oggi, dell’infermieristica di famiglia e di comunità?
Chiunque sa cosa fa un fisioterapista o un’ostetrica, mentre la figura dell’infermiere continua a essere contestualizzata soltanto nell’esecuzione di atti tecnici e di terapie.

Invece…
Invece l’infermiere non fa solo questo. Il fatto che ancora non è conosciuto è che gli infermieri di famiglia e di comunità lavorano principalmente sui bisogni assistenziali.

Anche i bisogni assistenziali, però, sono poco noti. Perché?
Non lo sono perché abbiamo una visione della salute ancora radicata nel paradigma biomedico. È difficile avere una visione della salute secondo un paradigma bio-psico sociale, paradigma che è d’altronde quello proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Detto in altri termini: ci sentiamo “sani” quando non stiamo male, ma la costruzione della nostra salute non è semplice assenza di malattia, ma capacità di soddisfare i nostri bisogni in modo da rimanere sani. Il ruolo dell’infermiere, in questo paradigma evoluto, è di assistenza alla salute, oltre che alla malattia. Ma proprio questo aspetto, come tutto il discorso sulla prevenzione, non è tangibile e viene quindi ancora poco riconosciuto.

Se un evento (la patologia) non si manifesta, è difficile far vedere il lavoro svolto a monte affinché quell’evento non si manifestasse. A maggior ragione, è difficile far vedere il ruolo proattivo dell’infermiere. Il nucleo dell’infermieristica di famiglia e di comunità, però, è proprio in questa dimensione proattiva.

Oggi, sul territorio, chi abbiamo?
Abbiamo gli infermieri delle cure domiciliari, che sono sviluppati in un modo estremamente disomogeneo in Italia.

Esistono altri modelli?
Prendiamo il modello tedesco, dove il sistema paga una prestazione, ad esempio: la visita dal pneumologo, ma poi passa la palla all’infermiere che deve seguire, spiegare, educare.

Educare?
Parlo di educazione terapeutica, concetto che per noi è poco chiaro al pari di quello di prevenzione. Tornando alla questione con cui abbiamo iniziato la nostra conversazione, direi che se non c’è una chiara coscienza del lavoro dell’infermiere è proprio perché non c’è consapevolezza sul tema della prevenzione e dell’educazione.

Perché è importante parlare di infermiere di famiglia e di comunità?
L'infermiere che lavora sul territorio non lavora solo nella e per la comunità, ma entra in relazione con la famiglia, con il malato ma anche con i caregiver: è fondamentale tenere insieme i due concetti "di famiglia" e "di comunità".

Durante la pandemia, però, il ruolo dell'infermiere è balzato all'onore delle cronache…
È diventato evidente che non bastava essere curati soltanto dai medici. Questo negli ospedali, perché a livello territoriale, anche nelle Regioni dove l'infermieristica di prossimità era più sviluppata, sono state tolte forze dal territorio per reagire all'emergenza. Ora bisogna invertire la rotta.

Dando forza alla legge 77 del 2020, un punto di svolta importante poiché riconosce l’infermiere di famiglia e di comunità…
È un primo passo che ora dobbiamo implementare diffondendo cultura della prevenzione e conoscenza della professione. La pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno di nuovi paradigmi e visioni centrati sulla prevenzione, l’integrazione e l’inter-settorialità. Anche il Piano Nazionale di Prevenzione, d'altronde, riconosce che se si vuole fare davvero prevenzione bisogna fare ricorso a chi sta più vicino al cittadino.

Adesso che si è delineato un quadro normativo che precisa la figura dell'infermiere di famiglia e di comunità, adesso che siamo nel Piano Nazionale di Prevenzione è ancora più importante che vi sia una legge ad hoc. La legge 77/2020 nomina l'infermiere di famiglia e di comunità, prevedendo una serie di assunzioni, lo stesso fa la Conferenza Stato Regioni. Ma serve un compimento legislativo, che dia anche il riconoscimento di una specializzazione.

Il ruolo dell'infermiere di famiglia e di comunità sarà sempre più cruciale…
Lo sarà nella misura in cui riconosceremo la sua centralità nella lettura anticipatrice dei bisogni. Ben vengano le campagne, ben venga il social marketing, ben vengano gli screening, ma in uno scenario di cronicità che aumentano il ruolo dell'infermiere di prossimità sarà fondamentale per il Paese anche in termini di alfabetizzazione sanitaria di base.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.