Cultura
Mahatma del 2000
Una mappa mondiale per scoprire chi sono oggi gli eredi del profeta della non violenza
di Redazione
Un idealista pragmatico. Sembra una contraddizione in termini, eppure il merito di Gandhi fu proprio di coniugare l?inconciliabile, trasformando in azione politica l?intento essenzialmente educativo che lo muoveva. Chi nel travagliato mondo odierno possiede lo stesso anelito alla giustizia, alla verità, alla pace? Gandhi sapeva che per lottare contro il Male bisogna a volte piegarsi a compromessi, e i suoi realistici ripiegamenti spesso suscitarono perplessità. In realtà era quello l?unico modo per svegliare le coscienze mantenendo un contatto concreto e continuo con il popolo. C?è qualche dissidente, oppositore, pacifista dei nostri giorni che riesce a fare altrettanto? Forse no, ma molti si sforzano di riuscirci. In queste pagine vi presentiamo alcuni dei continuatori dell?opera di Gandhi, in una mappa che non ha comunque la pretesa di essere completa. Oltre tutto, al pari di Gandhi, tanti suoi presunti figli non registrano sempre l?unanimità dei consensi (era così anche per il guru siciliano Danilo Dolci, morto pochi giorni fa). I personaggi che vi proponiamo, laici o credenti che siano, sembrano comunque tener conto di quanto sottolineato dal Papa nel suo messaggio di Capodanno per la Giornata mondiale per la pace: «La giustizia è, allo stesso tempo, virtù morale e concetto legale». Ma «la giustizia staccata dall?amore misericordioso diventa fredda e lacerante».
Per essere operatori di pace occorre dunque l?amore anche per il proprio nemico. Al pari di Gandhi, che invitava sì alla resistenza passiva all?ingiustizia, ma senza spirito d?odio. Una concezione severa, altamente morale, della responsabilità dell?individuo verso la società. Un atteggiamento difficile oggi da ritrovare sui cinquanta ?fronti caldi? aperti nel mondo (compresi i più dimenticati, come il Kosovo, Cipro, Cambogia, Tagikistan, Sri Lanka, Haiti, il Sahara Occidentale). Arduo da individuare anche laddove conculcate sono le libertà civili, dalla Cina all?Iran, a tanti regimi africani o latinoamericani.
Samuel Ruiz
Gli indigeni tzotzil lo chiamano Tatic, ?padre?. Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal de las Casas, da anni difende gli indios del Messico. Dopo la sollevazione zapatista del gennaio ?94 ha svolto un ruolo determinante nel dialogo fra ribelli e governo. In novembre è stato vittima di un attentato da parte di bande paramilitari. Dopo la strage di 45 indigeni a Natale, Ruiz ha impedito il linciaggio degli assassini dicendo in lingua tzotzil: «Non bisogna inciampare nella pietra dell?odio e della vendetta, ma considerare quelle vittime indifese semi della pace che deve fiorire».
Elizardo Sanchez
Cerca di riportare la democrazia a Cuba senza vendette, con una lotta non violenta. Elizardo Sanchez è il dissidente cubano più conosciuto. Ha passato 8 anni nelle celle di isolamento. La sua dimora è stata oggetto dei tristemente celebri ? meeting di ripudio?(manifestazioni violente organizzate dalle squadracce governative). Sogna la riunificazione di tutti i fratelli cubani, divisi da un oceano e da 30 anni di odio. La Commissione dei diritti umani e di riconciliazione nazionale, di cui è presidente, ogni anno realizza monitoraggi sulle violazioni dei diritti umani nell?isola. Il rapporto ?97 cita 700 prigionieri di coscienza e continui arresti per ?delitti di opinione?.
Cristina Cuesta
Dagli abissi della vendetta alle vette della lotta non violenta: questa la parabola di Cristina Cuesta, oggi trentaquattrenne di Spagna, attivista per la pace nei Paesi Baschi. Nell?82, nella natìa San Sebastian, vide un gruppo terrorista basco uccidere il padre. Tre anni dopo, dall?incontro con la madre di un terrorista ucciso nasce la voglia di combattere assieme sotto l?insegna basca ?Denon Arteak?, pace e riconciliazione. Per questo Cristina è stata scelta da ?Time? come una dei dieci spagnoli che oggi fanno realmente ?la differenza”.
Salima Ghezali
Il suo giornale, La Nation, sorto in opposizione all?annullamento delle elezioni del 1992, si può leggere solo su Internet perché è stato ridotto al silenzio. Salima Ghezali, ex professoressa di francese, giornalista e premio Sakharov del Parlamento europeo, è l?emblema della lotta per la pace in Algeria, ma non vuole essere considerata un simbolo. Ha meno di quarant?anni e ogni notte cambia domicilio per non essere raggiunta dalla rabbia degli integralisti o degli uomini di Zeroual. Ma Salima non rinuncia alla sua battaglia: “Senza la guerra il regime non potrebbe sopravvivere, perciò vengono messe donne contro uomini, laici contro religiosi”.
Ernesto Oliviero
«Un uomo piccolo dalla bontà così grande da diventare forza, da spingere a battersi contro le ingiustizie sociali. Da incutere rispetto anche ai forti e ai feroci». Così Madre Teresa di Calcutta descriveva Ernesto Olivero, salernitano, 57 anni, ex bancario, Olivero nel 1964 a Torino fondò il Sermig (Servizio Missionario Giovanile): come una sorta di ?Gandhi d? Italia ?, da allora vive accanto a poveri, emarginati, ?paria?. Un impegno nonviolento contro le ingiustizie simboleggiato dalla nascita, nell?83, dell?Arsenale della Pace: un?ex area militare trasformata in un laboratorio dove, ogni anno, migliaia di giovani costruiscono ?bombe? di pace.
Ibrahim Rugova
Un tenace sostegno nonviolento all?indipendenza del suo popolo è portata avanti in questi anni da Ibrahim Rugova, leader degli albanesi del Kosovo, la provincia della Jugoslavia dove la maggioranza di etnia albanese deve subire il dominio di Belgrado. Rugova predica dall?89 la resistenza passiva alla dittatura militare e culturale serba. Ultimamente però si trova in difficoltà, e fra i due milioni di albanesi del Kosovo sta crescendo la voglia di rivalsa militare, tant?è che il neonato Esercito di liberazione del Kosovo (Elk) ha iniziato a commettere attentati anti serbi.
Osman Murat
Nel settembre 1996, davanti alle telecamere, ha dato fuoco alla cartolina di reclutamento dell?esercito ed è diventato il pioniere dell?obiezione di coscienza in Turchia, Paese già sotto accusa per la repressione della minoranza curda. Adottato da Amnesty International come prigioniero di coscienza, Osman Murat Ulke è stato arrestato il 28 gennaio del 1997 e condannato a sei mesi di carcere per ?istigazione contro l?istituzione del servizio militare?. A marzo una nuova condanna per ?disobbedienza continuata? e a ottobre per ?diserzione?e ?insubordinazione?. Ulke è già un caso internazionale. E Amnesty si sta battendo per la sua liberazione e per l?introduzione dell?obiezione di coscienza nella legislatura turca.
Vera Chirwa
Vera Chirwa ha battuto due primati: è stata la prima donna avvocato del Malawi e la prigioniera politica rimasta più a lungo in un carcere africano. Nel 1981 si rifugiò col marito nello Zambia, dove fondò il movimento per la libertà del Malawi. Rapiti dalla polizia del Malawi e portati in patria, i due sono rimasti in carcere per 11 anni. Vera Chirwa è stata rilasciata nel gennaio del 1993: tre mesi prima suo marito, Orton Chirwa, incarcerato, torturato e legato giorno e notte a una catena per anni, non ce l?ha fatta ed è morto tre mesi prima di essere rilasciato. Vera è oggi il simbolo della resistenza pacifica africana.
Aung San Suu Kyi
Buon sangue non mente. Aung San Suu Kyi, 51 anni, la pasionaria della Birmania che da anni lotta, prigioniera nella sua casa a Rangoon, contro la giunta militare è infatti figlia di Aung San, il generale che venne definito il ?Gandhi birmano?, prima di essere ucciso a 32 anni in un attentato. Suu Kyi nel 1991 vinse il Nobel per la Pace, dopo che, tre anni prima, aveva fatto ritorno in patria per ottenere l?80% dei consensi nelle prime e uniche elezioni libere, il cui esito è stato ignorato dai militari. La sua lotta non violenta continua.
Dalai Lama
Tarzin Gyatzo è il quattordicesimo Dalai Lama (?oceano di saggezza?) tibetano. Dopo l?occupazione militare da parte della Cina, nel 1950, difese con la resistenza passiva la capitale, Lhasa, ma poi dovette rifugiarsi in India, a Dharamsala, dove vive tuttora. Nel 1989 ha ottenuto il Nobel per la pace. Il suo Piano di Pace di Cinque punti prevede il rispetto dei diritti del suo popolo e la trasformazione del Tibet in un Santuario della pace. Ultimamente il Dalai Lama è stato criticato dai tibetani più estremisti per avere ipotizzato un Tibet provincia autonoma all’interno della Cina comunista.
Kim Dae Jung
Kim Dae Jung, dal 18 dicembre presidente della Corea del Sud, cattolico, 73 anni, ha pagato con anni di carcere e di esilio la sua lotta per i diritti umani contro il regime militare. Condannato a morte, poi scarcerato per la mediazione Usa, infine eletto capo dello Stato, ha subito amnistiato i due ex presidenti – Chun Doo Hwan e Roh Tae Woo – condannati per il golpe del ?79: perdonando insomma chi lo aveva mandato a morte per le sue idee.
Carlos Belo
«Siamo un piccolo popolo, di sole 700 mila persone, ma si tratta di 700 mila voci che chiedono solo di poter scegliere il proprio futuro». Così monsignor Carlos Ximenes Belo, vescovo di Timor Est, premio Nobel per la Pace nel ?96, dà conto della drammatica situazione della popolazione cattolica dell?ex colonia portoghese, che ha avuto 200 mila morti dopo l?invasione indonesiana del 1975. Un ruolo difficile, il suo, di autorevole mediazione tra la dittatura militare di Giakarta e il Fronte di liberazione nazionale Freitilin.
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