Mondo

Maggiani: «Il mondo sarà salvato dai piccoli eroi quotidiani. Ce lo insegna l’Afghanistan»

Lo scrittore e intellettuale, in libreria con la sua ultima fatica editoriale “L'eterna gioventù”, ragiona: «Questa guerra dimostra come viviamo in un mondo che si illude di essere l'unico possibile. Solo chi sa che non è così e riesce ad immaginarne un altro, può salvarci. Come i cooperanti». L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

La narrazione circa l'uscita dal contesto afghano dei militari americani racconta di una “missione compiuta”. O, per dirla come i vertici dell'esercito e del governo Usa, un successo. Si sa che la storia la fanno i vincitori, ma è uno stary telling fiacco e poco convincente. Ne abbiamo parlato con Maurizio Maggiani, che proprio in queste settimane ha pubblicato il suo nuovo libro, “L'eterna gioventù”, in cui «ho provato a recuperare alcune delle nostre storie che lo strapotere del vincitore ci ha rubato».


Lei ha detto che il suo ultimo libro, “L'eterna gioventù”, edito da Feltrinelli, lo ha scritto per sé e per noi, che ci sentiamo sconfitti e annientati dallo strapotere del vincitore. Il potere assoluto che governa ogni cosa della nostra vita, addirittura i nostri sogni che reprime e ci porta via le nostre storie. Se dovesse oggi identificare questo potere come lo descriverebbe?
Come il facitore dell'epoca, il costruttore, il canone dell'epoca. C'è un'omologazione globale ad un pensiero. Un sistema globale che nasce dalla presunzione che la storia sia finita e i destini siano segnati. Che non c'è altro mondo se non questo mondo. Credo che Papa Francesco su questo sia più chiaro di me quando scrive le sue encicliche.

Se questa epoca, questa visione, è costruita e figlia di una presunzione significa che non è così in realtà?
Non c'è dubbio. Basti pensare che per il 99 per cento dell'umanità un'epoca di mestizia e sconfitta. Se questo è l'unico mondo possibile noi sappiamo che la stragrande maggiornaza di noi non fa una bella vita. Non è consentito il diritto alla grandezza della propria vita. Non una grandezza solo di tipo economico ma etica e morale. Non vedo le masse felici ed esultanti perché la storia si è consegnata al suo ultimo destino.

Precipitando questo nella cronaca stringente abbiamo appena visto gli americani abbandonare l'Afghanistan. Un intervento che finisce in modo così drammatico proprio nell'anniversario dell'attentato alle Torri Gemelle che quella guerra aveva generato. L'orologio dopo vent'anni torna esattamente dov'era. Eppure l'11 settembre doveva essere un punto di svolta epocale. Quel potere globalizzante di cui parla, a quanto pare, ha perso?
Secondo me ci stiamo perdendo qualcosa. Intanto che l'11 settembre 2001 abbia sancito un cambio d'epoca chi lo dice? Forse noi. Ma i tre miliardi di asiatici e i due miliardi di africani hanno avvertito un cambiamento? Probabilmente no, erano affari nostri, dell'Occidente. Lo vivevano probabilmente anche con empatia, chi lo sa. Non credo che noi li abbiamo interpellati. La fine della storia l'abbiamo inventata noi, la cultura Occidentali e ne godiamo e ne patiamo anche le conseguenze. Il cambio d'epoca riguarda solo noi. E quello che è successo in questi vent'anni riguarda noi e chi?

Quindi non ci sono vincitori né perdenti?
L'ordine sancito con la fine della storia non è uno stato di cose ordinato. Proprio a fronte dei miliardi di persone che vivono una vita di mortificazione. Non è quindi l'ordine del mondo. È l'ordine delle armi e dei governi. Ma non l'ordine del mondo. E l'Afghanistan è uno dei molti disordini cui deve far fronte il vincitore. Colui che si è proclamato vincitore che a ben vendere non ha vinto. Chi sono i trionfatori sulla grande armata occidentale? La parte più arretrata e spettacolare dal punto di vista di incongruenza con la contemporaneità che sono i talebani. Non c'è futuro né riscatto lì. Non c'è riscatto né alcuna possibilità di poter vantare un passo avanti nella storia dell'umanità. La sconfitta della grande armata dell'Occidente non è una vittoria per nessuno, evidentemente. Siamo tornati al 2001? Non ci siamo mai mossi dal 2001. In questi vent'anni ci siamo ostinati a raccontarci che questo era l'unico ordine possibile. L'Afghanistan è un caos che fa parte di questo disordine generale.

Per riassumere tutto questo in una frase?
La contemporaneità è caos. Questo perché l'ordine esistente è intollerabile. Basti pensare a noi, la fetta privilegiata dell'umanità e a come abbiamo vissuto la pandemia. Come qualcosa di disarmante e annientatore. Dov'è la padronanza del mondo che ritenevamo di avere. Non abbiamo nessuna notizia della pandemia in Africa. Può voler dire che sono più ordinati di noi pur essendo infinitamente più poveri. Non avendo vaccini o altre difese hanno trovato il modo, nella disperazione della loro condizione di gestirsi in maniera meno caotica.

Il suo libro racconta “un frammento dell'epocale sfida contro il sopruso e la cecità del potere”. A guardare le persone cadere dagli aerei in partenza da Kabul questa visione è molto chiara e distinguibile. Molto meno è quando dice che anche oggi “esistono gli eroi”. A Kabul lei ha visto degli eroi?
In questa vicenda gli eroi li identifico con chi nella propria umanità, comune umanità, si impongono di vivere per la vita oltre ogni possibile traguardo immediato. Vivono in una condizione di continuo futuro dove il futuro è nella propria vita e quella degli altri. Questo è l'eroe. Per i credenti, quando ci sarà il momento della giustizia, gli si chiederà ragione di quanta vita ha generato e quanta ne ha consumato. Per fare un nome fra i mille, Gino Strada è un'eroe perché ha generato molta più vita di quella che ha consumato. E come lui le decine, centinaia, di milioni di umani che lavorano per la vita. I salvatori dell'Afghanistan, dopo vent'anni, sono evidentemente i cooperanti, i medici, i volontari, non la Nato. Quelli che per altro son ancora sul posto.

Ma se non è l'11 settembre a cambiare il mondo, non è una guerra a cambiare il mondo, cosa lo può cambiare?
Proprio gli eroi. Solo loro possono cambiare il mondo. Chi altri sennò? Non vedo altre possibilità. Siamo chiusi in questo paradigma folle per cui tutto si è compiuto. Quelli che sanno che c'è un altro mondo sono l'unica possibilità E lo sanno non perché lo vedono. Chi sono i profeti? Quelli che vedono oltre l'ultimo orizzonte e sono in grado di raccontare ciò che c'è e in grado di prendere per mano gli altri e portarli lì.

Una forma di trascendenza?
Sì ma non necessariamente religiosa. E che non dipende da qualche potere particolare. Una madre che cresce i suoi figli per renderli uomini è un eroe. Anna Harendt diceva che l'uomo non si qualifica come essere che morirà ma come essere che è nato. E nel nascere è la sua unicità. E il suo potenziale è unico. Quello che potrà fare sarà un'unicità, nel bene e nel male. Questo va colto di ogni essere umano. La sua unicità che va condotto, assieme alla vita, al fatto che uno non nasce mai solo. Illudersi di vivere sani in un mondo malato è la nostra follia, come dice il Papa.

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