Welfare

Mafioso? Questione di timbri

Mi è chiaro che finchè il ministero non cancellerà il marchio "stampo mafioso" non avrò speranze di reinserimento sociale

di Cristina Giudici

Sono stato condannato per un reato di omicidio volontario e per una serie di altri reati di minore entità. Poi nel ‘91 sono stato accusato di appartenere a un’associazione di “stampo mafioso” e assolto un anno dopo dal tribunale di Pisa «per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste» (sentenza n° 9/92 Rc del 6/6/92). Eppure nel corso degli ultimi anni di detenzione mi sono reso conto che il ministero di Giustizia, accanto ai miei dati anagrafici, ha allegato la dizione “appartenenza alla criminalità organizzata di tipo mafioso”. Questa etichetta mi accompagna ormai indissolubilmente e ha condizionato ogni decisione o risposta del Dipartimento amministrazione penitenziaria alle mie richieste e quesiti, incluso il fatto di essere detenuto sempre in sezioni di sicurezza e in carceri lontani dal luogo di residenza dei miei familiari. Attraverso l’ufficio matricola di questo carcere (Novara, ndr), ho chiesto più volte al ministero di voler correggere la dicitura “stampo mafioso”, perché non rispondente al vero. Dopo molto tempo e molti solleciti, mi è arrivata una risposta negativa dal Dipartimento, che le allego. La motivazione? Il ministero ha avuto l’idea assurda e spudorata di voler giustificare la dizione da me contestata, adducendo che tale definizione è una notazione interna dell’Amministrazione e che serve solo a determinare le misure di sicurezza da prendere nei miei confronti. In sintesi anche se io non sono mafioso, per il ministero è più comodo che lo sia per questioni amministrative interne!!! Ovviamente la mia preoccupazione non è solo di tipo formale, ma riguarda le conseguenze di tale “marchiatura”, e cioè il regime di detenzione a cui sono sottoposto. Da quando sono stato classificato come detenuto pericoloso perché mafioso, sono stato assegnato a carceri e sezioni di massima sicurezza, distanti dai luoghi di residenza dei miei familiari, che vivono in Campania e Toscana, e così nonostante mio padre abbia avuto multipli infarti e non possa viaggiare, mi viene impedito di vederlo da sei anni! E non posso avere neanche colloqui regolari con mio figlio. Inoltre per 15 mesi sono stato messo in isolamento a causa del 41/bis. Mi è chiaro a questo punto che finché il ministero non cancellerà il marchio infame, non avrò speranza di avviare il benché minimo percorso di reinserimento sociale e prepararmi a una futura vita da uomo libero. lettera firmata, Novara Ho letto il documento da lei allegato; ebbene sì, il suo è l’ennesimo caso di crudeltà immotivata nell’amministrazione della giustizia in questo Paese. Le prometto che indagheremo sulla vicenda. In ogni caso, non demorda e si rivolga a un avvocato, avvalendosi anche del suo diritto al gratuito patrocinio.


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