Welfare

Mafia, arrestato Bernardo Provenzano

Il boss di Cosa Nostra è stato arrestato a Corleone

di Redazione

La cattura del latitante più ricercato è avvenuta da parte delle forze di polizia. Bernardo Provenzano è stato arrestato in un casolare nella campagna di Corleone. L’operazione è stata condotta dalla Polizia di Palermo insieme al Servizio Centrale Operativo (Sco) e alla Direzione Centrale Anticrimine (Dac). La ‘primula rossa’ della mafia non ha opposto resistenza e non era armato. Nel paese di Corleone vive la famiglia del super boss, latitante da più di 40 anni. Bernardo Provenzano , boss incontrastato della mafia, uomo senza volto, ricercato da mezzo secolo dai reparti speciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza e arrestato oggi puo’ considerarsi un vero e proprio acrobata della clandestinita’. Dal 17 settembre 1958, giorno in cui fu arrestato per l’ultima volta, non esistevano altre sue foto, ma solo descrizioni fornite dagli uomini d’onore poi diventati collaboratori di giustizia. Proprio nei mesi scorsi era stato presentato il nuovo identikit del boss mafioso, realizzato grazie all’aiuto di nuovi pentiti come Antonino Giuffre’, il suo ex braccio destro, finito in carcere tre anni fa, che ha parlato a lungo di Provenzano ai magistrati. E’ stato Giuffre’ a descriverlo come un uomo ”firrignu”, cioe’ forte, ”capace di dormire per piu’ notti nel sacco a pelo”. Non solo. Era stato proprio il nuovo pentito di mafia a chiarire ai magistrati la strategia numero uno del boss: ”Non usa telefoni perche’ sa che ogni segnale potrebbe svelare il suo nascondiglio”. Cosi’, Provenzano , per dirigere i suoi ‘affari’ miliardari usava i cosiddetti ‘pizzini’, cioe’ i bigliettini di carta mandati ai destinatari da uomini fidati. Alcuni, pero’, forse per paura, decidono di ‘tradirlo’. Come aveva fatto, a marzo, Mario Cusimano, finito in carcere nella retata del 25 gennaio scorso, quando vennero arrestati decine di gregari del boss latitante. Fin dal primo momento, Cusimano aveva deciso di ‘saltare il fosso’ e collaborare con i magistrati che lo hanno ascoltato. Nel gergo mafioso, Cusimano era considerato un ‘pesce piccolo’, ma le sue rivelazioni si stanno dimostrando ”molto importanti”. Sarebbe stato proprio il neo pentito a raccontare ai pm che si occupano della cattura di Provenzano del viaggio compiuto in auto dal latitante nel 2003 dalla Sicilia fino in Francia, a Marsiglia, per sottoposri a un delicato intervento chirurgico alla prostata. Un’operazione andata bene e che potrebbe essere persino stata rimborsata in pieno dalll’Ausl 6 di Palermo. Ed e’ quello che stanno accertando i magistrati che tra maggio e giugno hanno sequestrato montagne di carte per scoprire se effettivamente Provenzano , che si fece ricoverare sotto il falso nome di ‘Gaspare Troia’, avesse fatto domanda alla regione per ottenere il rimborso dell’operazione. L’ultimo contatto tra le forze dell’ordine e Provenzano risale al 9 maggio del 1963, quando il boss venne convocato nella caserma dei carabinieri di Corleone per accertamenti: fu l’ultima volta che i militari videro il volto del boss dei boss. Di lui si perdono definitivamente le tracce il 18 settembre del ’63, quando i Carabinieri lo denunciarono per la strage in cui persero la vita Francesco Streva, Biagio Pomilla e Antonio Piraino. Inizia quel giorno la lunga, interminabile latitanza di Bernardo Provenzano , che dura sino ad oggi. A dire il vero, le forze dell’ordine, diverse volte, sono state vicinissime all’arresto della ‘primula rossa’, ma come sempre, e’ riuscito a farla franca. Come quel 31 gennaio del 2001, quando la Polizia blocco’ Benedetto Spera, il suo braccio destro di allora, in una masseria di Mezzojuso, nel palermitano. Provenzano era li’, a pochi passi, in attesa di essere visitato da un medico a causa delle sue cattive condizioni di salute. Ma riusci’ a sfuggire, per l’ennesima volta. La carriera criminale di Bernardo Provenzano comincia negli anni Cinquanta, quando insieme con Salvatore Riina, altro boss finito in carcere nel ’93, diventa il piu’ fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato di ‘Cosa nostra’ nel corleonese. Di lui Liggio diceva ‘Spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina’, una definizione che Provenzano smentira’ con il passare degli anni. Il boss approda ai vertici di Cosa nostra all’inizio degli anni Ottanta, solo dopo avere fatto uccidere tutti i boss rivali. Sono state diverse le strategia usate dal capo di Cosa nostra per gestire gli affari della mafia. L’ultima, quella indicata dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffre’, e’ quella della ‘moderazione’ con l’infiltrazione costante nelle istituzioni, piuttosto che l’attacco frontale, come accadeva in passato. Sono tanti i pentiti a ripetere la stessa litania: ”Binnu ‘u tratturi’ tiene in mano tutti gli appalti e i rapporti con i politici”. Ma i pentiti, malgrado le descrizioni fin troppo minuziose, non sono ancora riusciti ad indicare ai magistrati il posto in cui Bernardo Provenzano trascorrerebbe la sua latitanza. Nemmeno l’ultima pentita di Cosa nostra, Giusi Vitale, che ha raccontato ai magistrati di avere visto Provenzano vestito da vescovo, poco prima di un incontro con il Gotha mafioso. Quello che si sa e’ che ha subito due interventi di prostata e che, per questo, e’ costretto a rivolgersi a medici per visite specialistiche. Le indagini sulla cattura della Primula rossa continuano a parlare di un ”boss malato” ma vivo, nonostante le parole pronunciate solo pochi giorni fa dal suo avvocato Salvatore Traina, che si era detto convinto che il boss fosse morto. ”La mia convinzione – aveva raccontato- e’ fondata su elementi solidi”. Per il legale, insomma, non c’era nessuna prova che l’uomo operato alla prostata a Marsiglia nel 2003 fosse davvero Provenzano .E agli inquirenti, che ”sostengono di avere anche il suo Dna”, aveva mandato a dire: ”Io penso invece che non abbiano proprio niente”. ‘Loro -aveva spiegato Traina- da alcuni frammenti di prostata di un uomo operato in Francia sono risaliti al Dna di qualcuno, qualcuno che dicono sia Provenzano . Un procedimento al contrario. Ma, per avere la certezza che quell’uomo fosse il mio cliente avrebbero dovuto avere il suo Dna e poi confrontarlo con quell’altro trovato alla clinica. Il fatto e’ che il Dna di Provenzano gli inquirenti non l’hanno mai avuto”. Di tutt’altro avviso la Procura di Palermo. Che in quel frammento di Dna aveva riposto molte speranze di arrivare, dopo quasi mezzo secolo di indagini senza tregua, a individuare il nascondiglio del superlatitante. Fino all’ottobre scorso, infatti, di Bernardo Provenzano non si avevano foto recenti, ma solo identikit. Oggi il colpo di scena.


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