Volontariato

Maestro è molto bellissimo

Così Jenny, una bambina di sei anni, disse guardando i murales del maestro Sergio. Oggi con Jenny ci sono più di 100 bambini che hanno imparato ad amare se stessi e la propria città

di Mariano Campo

L?ultima impresa del «maestro Sergio» risale all?estate appena trascorsa: in pochi giorni e praticamente senza risorse, questo insegnante padovano che trent?anni fa lasciò il ?Continente? per venire in Sicilia, è riuscito a mettere su un «laboratorio creativo e ricreativo» per oltre cento tra ragazzi e adulti del quartiere ?Coniglio?, nell?estrema periferia di Paternò, un paese agricolo di sessantamila abitanti a venti chilometri da Catania. Per gli abitanti della zona, una delle tante ?vie Gluck? d?Italia, si è trattato di un vero e proprio evento, abituati – o meglio rassegnati – come sono ad essere trascurati dalle istituzioni. Per Sergio Malaman è stato senza dubbio «il migliore festeggiamento possibile per i miei trent?anni di permanenza a Paternò».
Nel lontano ?68, appena diciottenne, questo «figlio della Bassa» decideva infatti di trascorrere in Sicilia un breve periodo di vacanza «alla ricerca di se stesso». Da allora però non ha più fatto ritorno al Nord, se non per ritrovare i suoi parenti durante le ferie. Un emigrante all?incontrario, insomma, che ha rinunciato senza troppi rimpianti all?inebriante velocità della ?locomotiva Veneto? per camminare a piedi scalzi, nella sua quotidiana missione di educatore, a fianco dei carusi di Paternò. Le sue ?armi? più efficaci? «Uno smisurato entusiasmo», confessa, e la propria creatività messa a servizio degli altri.

Il mio entusiamo a Paternò
Quest?estate, ad esempio, tutto è cominciato con un murale nel cortile della scuola elementare dove insegna: «Le lezioni si erano appena concluse e il direttore – racconta Ma-laman – mi aveva chiesto di rimanere ancora qualche giorno per decorare i muri di cinta con alcune immagini del paese: il castello normanno, le chiese settecentesche, l?Etna fumante. Un pomeriggio, mentre stavo passando il colore, mi è sbucata alle spalle Jenny, una bambina di sei anni che, non so come, era riuscita a scavalcare le inferriate: ?Maestro, è molto bellissimo?, mi ha detto con la sua voce roca. Credetemi, la recensione di un critico d?arte non avrebbe potuto rendermi più felice».
Da quel giorno i «piccoli indiani» sono diventati dieci, venti, poi più di cento: ogni pomeriggio abbandonavano le strade polverose del quartiere ?Coniglio?, per invadere il «Fort Apache» della scuola e partecipare con tutta la loro energia alla creazione dell?opera d?arte: «Abbiamo dovuto aprire i cancelli, per evitare che si facessero male. Alla fine, però, con mia moglie Elena ed i miei figli Norma e Marcello abbiamo deciso di rimandare le ferie in Liguria e di trascorrere l?intera estate a giocare con questa nuova grande famiglia». Con l?aiuto di altri insegnanti, sono poi nate due piccole compagnie teatrali che hanno portato in scena di fronte a migliaia di persone delle commedie in siciliano scritte dallo stesso eclettico «maestro Sergio»: ?I carusi di vanedda? (i ragazzi dei vicoli) e ?La compagnia delle papere?, composta dai tanti adulti del quartiere che pian piano si sono avvicinati. «Un?esplosione di vita», commenta Malaman , «un piccolo prodigio» Per capire però cosa abbia spinto veramente il maestro Sergio a stabilirsi in quest?angolo della Sicilia, bisogna – dice lui – ripercorrere quasi interamente le sue «tre vite». Il racconto comincia allora a metà degli anni ?50, con uno sbrego: «Uno strappo – traduce – un trauma che ha fortemente segnato la mia esistenza. Fino all?età di sei anni ero vissuto in campagna a Saletto, un paesino della Bassa Padana: ed era una vita semplice, pura, da sogno, che ogni giorno mi consentiva di scoprire il mondo attraverso il filtro della natura e degli animali. Un mattino però mi ritrovai improvvisamente caricato su una macchina, costretto a trasferirmi vicino Portofino, dove i miei genitori andavano per motivi di lavoro. Altra gente, altri luoghi, altro dialetto: non si stava male, lo ammetto, ma a poco a poco mi resi conto che il sogno del piccolo Sergino si era bruscamente e irrimediabilmente interrotto». A diciott?anni, la prima crisi profonda, ovvero «il bisogno di dare un senso meno superficiale alla mia esistenza». I suoi coetanei scendevano in strada per mandare «la fantasia al potere», lui pensò invece di andare a trovare per qualche giorno un suo zio prete, direttore di un orfanotrofio a Paternò: «Vieni», mi disse, «conoscerai tanti ragazzi che soffrono davvero, così potrai renderti conto di quanto valgono realmente i tuoi tormenti». Fu qui che ebbe inizio la sua terza vita: «Doveva essere solo per quindici giorni, ma in quell?istituto ci sono rimasto per ben otto anni, facendo ogni genere di lavoro per rendermi utile e stare vicino ai cento orfani ospitati nella struttura. Nel ?70 cominciai inoltre a fare attività di animazione in un vicino convitto delle suore domenicane; e lì, nel bel mezzo di un cineforum, incontrai lo sguardo di Elena, la ragazza che sei anni più tardi sarebbe diventata mia moglie».
Non sembra affatto – osserviamo, tirando le fila del lungo racconto – la classica vicenda del maestro settentrionale sbattuto per punizione nel profondo Sud. «No», ride, «a differenza della Liguria, io questa terra l?ho scelta consapevolmente e la amo così com?è, bella ed imperfetta», ribatte il maestro Sergio, passando con disinvoltura dalla cadenza veneta a quella siciliana. Soprattutto perché negli occhi dei ragazzi difficili che ho incontrato in tutti questi anni ho sempre rivisto lo sguardo di Sergino, con il suo immenso e naturale bisogno di affetto ed attenzione. Perciò, invece di limitarmi a sparare a zero sull?Isola e sui suoi abitanti per tutto quello che non va, ho provato sin dall?inizio a rimboccarmi le maniche ed a fare del mio meglio».

Le opere d?arte dei Carusi
Ed è anche per questa ragione che, dopo il successo estivo, il maestro Sergio non ha voluto più fermarsi, riuscendo a convincere centinaia di carusi del ?Coniglio? a continuare le attività con la parrocchia del quartiere, e a mettere in cantiere nuove e più ambiziose operazioni: «Adesso sto organizzando un presepe vivente con più di mille partecipanti. Al tempo stesso, sto investendo tutta la mia credibilità e le mie energie in un progetto che mobiliti tutti i club-service di Paternò a fa-vore degli abitanti delle periferie: un modo concreto per far giungere la solidarietà di chi vive nelle strade ritte, nei quartieri bene cioè, a quelli delle vanedde, ed abbattere così le molte barriere culturali erette all?interno dello stesso paese».
«La gente del ?Coniglio?, come quella di ogni periferia del mondo, ha un animo meraviglioso ma è geneticamente diffidente, perché si è sentita tradita e abbandonata centinaia di volte», riflette Malaman, che per sua indole trabocca ottimismo ma non si nasconde certo le difficoltà del progetto. «Basta però che incontri qualcuno che gli si accosta in maniera sincera, senza intrallazzi o doppi fini, qualcuno che, per capirci, non
andrà poi a chiedere voti o qualcos?altro in cambio; allora è pronta ad aprirsi e a lasciarsi coinvolgere intera-mente. Ecco spiegato come persino dalle case grezze e dalle stradette senza asfalto di questa periferia, possano venir fuori certe esplosioni di vita».

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