Cultura

Madri tossicodipendenti: fenomeno in crescita

L'indagine del Cnca per conto del ministero del Welfare

di Stefano Arduini

L’uso di sostanze stupefacenti e’ in genere piu’ diffuso tra gli uomini che tra le donne, ma in Europa il numero di donne tossicodipendenti e’ in aumento, e molte sono madri: per loro la vita e’ doppiamente difficile, perche’ se da una parte devono fronteggiare e curare la loro dipendenza, dall’altra ci sono le esigenze dei piu’ piccoli di cui non si puo’ non tenere conto. Le comunita’ di accoglienza, al momento, sembrano costituire la risposta migliore per questa categoria particolare di mamme, anche se molto andrebbe fatto per migliorare la loro condizione. E’ il quadro che emerge da una ricerca effettuata dal Coordinamento nazionale comunita’ di accoglienza (Cnca), nell’ambito del progetto triennale ”Maternita’ In-dipendente” finanziato dal Ministero del welfare e che si concludera’ a giugno 2006.

L’indagine e’ stata condotta in sei diverse comunita’ di accoglienza per donne con problemi di dipendenza e i loro figli, nel periodo maggio-ottobre 2004. I dati europei ufficiali sulla popolazione tossicodipendente (Emcdda 2000) indicano il rapporto maschi-femmine in 3-5 a 1, ma si tratta, secondo alcune fonti, di sottostime, in quanto si basano sull’accesso ai servizi, che spesso per le donne e’ piu’ difficoltoso. In Grecia, ad esempio, il numero delle donne in trattamento e’ passato dal 6% del totale (1993) al 13,7% (1998); in Spagna, in 10 anni le detenute per reati legati alla droga sono triplicate. Le donne in trattamento risultano essere piu’ giovani degli uomini e la proporzione di donne diminuisce con l’aumentare dell’eta’.

In Italia – secondo i dati raccolti dal Cnca – le donne segnalate alle Prefetture costituiscono solo il 6,6% del totale delle persone segnalate, ma anche qui si tratta di dati sottostimati. Le donne tossicodipendenti tendono ad avere piu’ problemi psicologici dei maschi, quali ansia, depressione, disturbi alimentari, bassa autostima, sensi di colpa; molte di loro hanno vissuto episodi di abuso psicologico e sessuale. Spesso hanno una situazione lavorativa precaria e abitativa non stabile. La maggior parte proviene da situazioni familiari in cui sono presenti forti conflitti, separazioni, carenze affettive; vivono in situazioni di solitudine e isolamento, spesso hanno compagni a loro volta tossicodipendenti. Quando aspettano un figlio, se il bambino nasce in condizioni di rischio, il servizio sociale dell’ospedale lo segnala al Tribunale dei minori, il quale a sua volta interviene: la donna a questo punto deve decidere se entrare in una struttura terapeutica oppure dare il figlio in affidamento o in adozione. Rispetto alla gravidanza, le donne tossicodipendenti vivono un’alternanza tra desiderio e idealizzazione da una parte, e rifiuto e delega dall’altra. La preoccupazione materna di manifesta in modo ‘intermittente’, seguendo i ritmi dell’assunzione della sostanza.

In Italia non sono molti i servizi rivolti specificatamente a questo tipo di problema, ma si tratta perlopiu’ di servizi rivolti alla tossicodipendenza in genere: i centri di accoglienza (per un massimo di 3 mesi), che in genere offrono sostegno alla natalita’ e alla genitorialita’, propedeutico all’ingresso della madre in un vero percorso terapeutico; le comunita’ terapeutiche, dove in genere le donne e i loro figli restano per 18-24 mesi.

Nelle comunita’ prese in esame dalla ricerca, le donne con figli sono piuttosto giovani (massimo 39 anni), hanno figli piccoli (massimo 6 anni), sono prevalentemente dipendenti dall’eroina. Nutrono rispetto alla struttura delle aspettative, che sono essenzialmente quella di ”diventare una buona mamma” e allo stesso tempo essere sostenute in un percorso personale di cura dalla dipendenza. Alla fine del periodo trascorso in comunita’, molte donne hanno riferito di ”sentire di piu”’ i loro figli, di essere ”meno rigide” e di aver imparato a ”coinvolgersi emotivamente” verso i piccoli. I bambini, secondo i ricercatori, appaiono ben inseriti nel quotidiano della vita di comunita’: vanno quasi sempre alla scuola materna o all’asilo nido durante il periodo scolastico, mentre all’interno della comunita’, oltre al rapporto con la madre, vengono coinvolti dagli operatori in attivita’ di gioco. Una delle carenze lamentate dalle madri e’ l’assenza di figure maschili (gli operatori sono prevalentemente donne), necessaria per lo sviluppo del bambino. Molte donne, poi, ritengono che andrebbe allargato lo spazio che riguarda gli aspetti piu’ femminili, della sessualita’, dell’affettivita’ e chiedono il sostegno di un esperto per affrontare i propri problemi psicologici. Alla fine della permanenza nelle comunita’, infatti, hanno la percezione di aver lavorato molto su se stesse come madri ma poco come donne

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