Famiglia

Madri sole, donne invisibili

Single, divorziate o separate con figli a carico. E nella maggioranza dei casi destinate alla povertà. Viaggio nell’Italia di chi non tiene famiglia.

di Giampaolo Cerri

Madri e sole. A volte povere. Secondo l?lstat, che ha recentemente anticipato la sua indagine multiscopo sulla famiglia italiana, vivono nel nostro Paese oltre 1 milione e mezzo di donne sole con figli (a fronte di 295.000 uomini). Nel ?89 – ?90 le famiglie ?monogenitoriali femminili? erano alcune migliaia di meno: 1.319.000. Un dato che asseconda in sostanza la crescita delle separazioni e dei divorzi. Infatti, più della metà, e cioè 611.000, avverte l?Istat, sono ?madri sole non vedove?.
Una condizione, la solitudine che si accompagna alla necessità di mantenere i figli, in cui la donna rischia di scivolare verso la povertà. Evento ricorrente per separate e divorziate: secondo i dati raccolti da Chiara Saraceno e Maurizio Barbagli (?Separarsi in Italia?, Il Mulino, Bologna, 1998), la situazione economica di una donna che abbia avuto in affidamento il figlio minore peggiora nel 44% dei casi (rimane uguale in 28 casi su 100). Conseguenza drammatica anche la povertà dei bambini: già nel ?96, secondo le statistiche, il 10,8% dei minori poveri in Italia viveva con la sola madre. A differenza di molti Paesi europei (vedi articolo a fianco), in Italia le politiche sociali a sostegno di queste figure sono abbastanza deboli. Sono rari i provvedimenti legislativi centrali mentre gli enti locali provvedono secondo criteri i più diversi. Essere donne, sole e con figli non è infatti uguale a Venezia o a Catania.
Per la verità un disegno di legge a favore di questa categoria porta la firma di Livia Turco e fu presentato al Parlamento al tempo del governo Prodi. Si tratta del provvedimento per ?facilitare la locazione o l?acquisto dell?abitazione? e attende ancora di essere esaminato. Beneficiarie, oltre le giovani coppie, proprio le famiglie monoparentali. «In Italia le madri sole sono socialmente e politicamente invisibili», dice Simonetta Simoni, sociologa dell?Università di Venezia. «Cercarne le tracce negli atti parlamentari è impresa ardua, una sorta di archeologia istituzionale». Il motivo, secondo la studiosa, sta nella «esiguità del fenomeno, nella sua scarsa rilevanza per il rischio povertà e nelle contraddizioni di una cultura fortemente familista però quasi inesistente nelle politiche sociali». «Dalle madri italiane sole», prosegue la Simoni, «ci si aspetta che si attivino, assumendo in prima persona la responsabilità del sostentamento proprio e dei figli». Insomma la posizione di severo paternalismo che dette origine, durante il Ventennio, all?opera Nazionale Maternità e Infanzia che assisteva la donna ?se povera e meritevole?. E la cui gestione residua, delegata agli enti locali, rimane ancora oggi l?unico sostegno statale alle donne sole. «Ci sono 52 province ?depositarie? della funzione delegata dell?Omni», dice Franca Bimbi, dell?Università di Padova, «in cui i fondi vengono erogati per i figli illegittimi, esposti, maternità e infanzia bisognose, abbandonate o in rischio di abbandono».
Alla gestione Omni ?vecchia maniera? fanno eccezione le province dell?Emilia In alcuni casi, come a Ravenna, prosegue la studiosa, la discriminazione è in positivo, attraverso prestiti d?onore, garanzie fidejussorie concesse dall?ente pubblico. Gli interventi poi, variano da Comune a Comune. A Napoli ad esempio, viene utilizzato lo strumento del semiconvitto: i figli delle donne sole vengono mandati a scuola e nutriti a spese del Comune (oltre 17 miliardi per 2.488 minori lo scorso anno). «Un modello», osserva la Bimbi, «che porta lo stigma della istituzionalizzazione». A Venezia invece il servizio sociale di base, attraverso il Centro Donna, orienta verso diverse misure di assistenza fra pubblico e privato, puntando a coinvolgere la famiglia di origine e anche l?ex-partner. Due approcci antitetici: tentativo di integrazione o assistenza tout-court.
A Catania per le madri sole è previsto un regime di assistenza economica (pari al minimo Inps) che può essere ?continuativa? (con figli minori di 15 anni e varie situazioni di disagio); ?temporanea? (fino a cinque mesi per le donne in gravidanza) o ?straordinaria? (una-tantum a fronte di eventi particolari).
Gocce nel mare visto che, sempre secondo i dati del ?96, la percentuale più alta di minori in povertà viveva al Sud e nelle isole: 24% contro il 5,9% del Nord.

Il caso Emilia Romagna

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La via emiliana al sostegno delle famiglia monogenitoriali nasce nel 1989, anno in cui fu varata la legge regionale n. 27. Grazie a questa norma vengono concessi alle famiglie in difficoltà, attraverso i servizi sociali e i Centri per la famiglia, prestiti d?onore (e cioè senza garanzie) . Fino a 10 milioni a tasso zero, restituibili in cinque anni, secondo piani personalizzati. «A Ravenna», spiega Raffaella Sutter, dell?assessorato alla Sicurezza sociale, «sono stati distribuiti in questi anni 300 prestiti per oltre 2 miliardi di lire a donne fra i 25 e i 40 anni, separate, con figli in età scolare e prescolare». Persone senza alcuna proprietà, redditi bassi, spesso impegnate in lavori stagionali. «Le motivazioni delle richieste», racconta la Sutter «riguardano spesso finanziamenti per sistemare la casa (arredi, ristrutturazioni ecc) specie dopo la separazione, per pagare le spese mediche per i figli o per l?acquisto di un automezzo».

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