Cultura

Madri per tanti (e l’infanzia salvata)

di Luigi Maruzzi

Il recente provvedimento sulla continuità degli affetti per bambini in affido (link) ripropone all’attenzione del pubblico il tema delle problematiche sociali che toccano più da vicino il mondo dell’infanzia. Fra gli attori interessati sono certamente annoverabili quei finanziatori filantropici che si occupano di infanzia secondo un paradigma piuttosto ampio, che va dagli interventi nell’ambito dell’ infanzia negata alle varie iniziative pro minori abbandonati, mettendo in campo risorse finanziarie, attività di co-progettazione, azioni-intervento, attività di advocacy ed ogni altra forma di tutela.
Il problema è di bruciante attualità; nei fenomeni migratori che si consumano sotto i nostri occhi, sono proprio i bambini ed i più giovani a rimetterci maggiormente.
Attuale e diffuso; ne sono vittime tanto i bambini europei, come pure quelli brasiliani (nei primi nove mesi di quest’anno a Rio de Janeiro sono spariti almeno 371 ragazzini di strada tra i 4 e i 15 anni), fino ad arrivare nel Malawi dove un milione di orfani ha lanciato il proprio grido di dolore che alcuni illuminati benefattori hanno saputo raccogliere (link) (link2).

Tutti i tentativi per ricomporre il nucleo familiare di origine meritano di essere compiuti, come avviene tipicamente nei casi di affido. Occorre, anzi, attivare gli strumenti giuridici a nostra disposizione per conservare anche il minimo legame familiare residuo: sarà importante per irrobustire l’identità del minore che diverrà adulto. L’adozione rappresenta, infatti, una soluzione radicale perchè tale legame con la famiglia di origine viene a cessare. Si tratta di un istituto giuridico che costituisce una modalità per restituire al minore il diritto di vivere in famiglia, e pertanto quando diviene applicabile non bisogna perdere tempo; altrimenti si rischia di prolungare uno stato di sospensione che per il bambino non significa altro che calvario.

Fuori dal campo di applicazione dell’affido e dell’adozione (nazionale e internazionale) esiste poi una miriadi di esperienze che appaiono troppo significative per non essere prese in seria considerazione.
Nessuno può dirsi estraneo al problema. La famiglia é un organismo profondamente fragile. E non lo è diventato da stamattina. A quante disgregazioni familiari abbiamo assistito nel passato? Mi rivolgo soprattutto alle generazioni degli anni Sessanta (cui appartengo).
Su come venissero affrontate certe situazioni ad esempio negli anni ’70 personalmente posseggo un ricordo nitido e indelebile. Di Stefania e Cherubina (*) avrei molte cose da dire. Mi basta però riportare qui l’eco dell’affetto speciale che mi hanno donato. Crescevo, andavo incontro ad una vita più impegnativa, avevo bisogno di coraggio per fare le mie scelte, ed entrambe hanno saputo caricarmi di fiducia nel futuro.
“Madri parallele” insomma. Per un ragazzo che molto probabilmente non avrebbe indossato l’abito talare, e che ancora aveva una madre (quella ‘naturale’) nel pieno delle sue facoltà educative, non c’è immagine più evocativa che sappia esprimere il senso di un aiuto così forte e autenticamente presente. E senza il timore che questo possa minimamente turbare il suo animo ancora acerbo.
Come ‘erogatore’ posso raccontare un episodio legato al mio primo periodo di “addestramento” ricevuto in Fondazione. Mi dicevano che le suore non potevano presentare una domanda di contributo perché – se l’avessero fatto – avrebbero disatteso il voto di povertà. E per me che pretendevo di applicare il regolamento alla lettera, era duro accettare un’eccezione così clamorosa quanto irrazionale.
Per fortuna, una volta scavallato il XX secolo, molte cose sono cambiate e oggi non sono pochi gli istituti di religiose che possono accedere a varie forme di finanziamento per realizzare progetti in favore dei minori.
Tante volte mi sono chiesto come mai per tutti questi anni non avessi tentato di riprendere i contatti con le mie due ‘salvatrici’; non saprei dire neppure dove stiano continuando la loro missione ora. Eppure la spiegazione non è così indecifrabile: un amore senza obbligo di riconoscenza, senza ombre di morbosità, è disposto a mettersi da parte pur di lasciare massima libertà ad un nuovo “virgulto d’ulivo” che sboccia. In altre parole, il loro dono più definitivo.

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(*) Dovrei forse premettere il loro titolo religioso, ma non mi riesce. Approfitto di questa nota per ringraziare le mie colleghe Bruna e Beatrice, competenti e ‘innamorate’ dei temi trattati nel post.

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