Le madri cattive sono quelle che non riescono a stare zitte, quelle che non si arrendono e resistono. Sono quelle che scendono in strada per affermare dignità, quelle che marciano con altre donne per non scomparire, sole, dentro casa quando scende la sera.
Le madri cattive si attaccano al collo un cartello con la foto di figlie scomparse, di figli dispersi, e con un solo gesto riescono a guardare a viso a aperto e in una sola volta tutte le istituzioni del loro paese e dichiararne l’assoluta inefficacia.
México febbraio 2013. Le vittime per desaparición forzada iscritte nei registri Renped (Registro Nacional de Personas Desaparecidas) sono 26 mila 121. Alla fine del 2013 furono cancellati dalla lista, senza nessuna spiegazione ufficiale: 7mila166 nomi. Scomparsi due volte e senza nessuna spiegazione.
México 10 maggio 2014. A piedi, ognuna dal proprio Stato, tutte dirette giusto al centro del paese: Ciudad de México. Hanno deciso di chiamarla “Marcha de la dignidad nacional: madres buscando a sus hijas, hijos, verdad y justicia”.
Intervista Audio. Storia di Rosita: Michoacàn.
Con le loro pratiche e con le loro parole, camminano e ri-costruiscono passo dopo passo il senso di dignità e di comunità. Percorrendo le stesse rotte lungo le quali sono stati negati i diritti, trasformano territori di impotenza judicandi, sommersi dal dolore e dall’assenza di uno stato di diritto, in terre di percorsi comuni.
Marciano e gridano: “No esperen que los olvidemos y no olviden que los esperamos sus madres que tanto los amas y los extrañan” (Non sperate che li dimentichiamo e non dimenticate che li aspettano le madri che tanto li amano e a cui tanto mancano)
Costruiscono altre rotte, spinte dalla consapevolezza che, nella maggior parte dei casi, non potranno più ritrovare i loro desaparesidos ma che le loro comunità devono ri-trovare il senso di una dignità negata e lasciare un altro tipo di eredità. Un’eredità non solo di vittime disperse, di figli ammazzati, di donne inghiottite dal deserto, ma un’eredità anche di madri cattive che non accettano di rimanere a casa, di dimenticare, di delegare.
Marcicano e gridano: “Vivos se los llevaron, vivos los queremos”, “la violencia no tiene madre, las víctimas sí”. (“Vivi se li portarono via, vivi li vogliamo”, “la violenza non ha madre, le vittime sì”)
L’eredità di pratiche di donne resistenti che occupano tutte le strade che possono affermando che la cittadinanza contemporanea è escludente e dimentica, sino a far scomparire, i corpi più vulnerabili che la compongono.
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