Famiglia

Madre Teresa. Un dono che continua

Intervista a sister Maria Pia

di Giuseppe Frangi

Ricordano questo di Madre Teresa a Roma. Che una volta vedendo due sposi che uscivano dalla basilica di San Gregorio al Celio, proprio a fianco del ricovero maschile dove le sue suore ancor oggi lavorano, assistesse al lancio del riso. Non era abituata a quell?usanza. E passando la sua vita tra i poveri più poveri della terra, giudicò quello spreco uno scandalo. Lei stessa iniziò a raccogliere quel riso, che poi la sera finì sulla tavola sua e delle consorelle.

Madre Teresa era una donna estrema, nella tenerezza come nel rigore. Se la ricorda bene sister Maria Pia, che oggi è responsabile di tutte le case di Roma e del Nord Italia. Si ricorda bene quell?altra volta che la Madre notò l?assenza di Milena, una donna che viveva sotto i ponti e che si era finalmente convinta a venire a stare nell?altra casa romana in via Sant?Uffizio. «Non volle andare a letto finché non l?avessimo scovata e convinta a tornare».

Non sono solo aneddoti. Sono gesti che possono segnare per la vita. Per sister Maria Pia e altre 75 italiane (lei è di Recanati) è stato così. Sono loro l?avamposto italiano della grande comunità delle sorelle di Madre Teresa. La maggior parte di loro gestiscono le 20 case, da Torino a Catania, in cui si dà assistenza ai poveri (vedi box). Non sono sole: infatti sono 200 le Missionarie della Carità presenti nel nostro Paese. La loro missione non è cambiata, anche se è cambiato il profilo delle persone che vengono a bussare alla loro porta. «Oggi a Roma non muore più nessuno di fame», spiega sister Maria Pia, con una voce leggera. «La povertà ha una faccia diversa da qualche anno fa. Oggi più che di indigenza la povertà è fatta di solitudine. Per questo il nostro lavoro è diventato più difficile. Perché all?alienazione della solitudine a volte è davvero difficile trovare risposte».

Non c?è smarrimento nelle parole di sister Maria Pia. I criteri dati dalla fondatrice tengono anche davanti alle nuove sfide. «Anzi, si dimostrano ancor più preziosi. Perché dare un pezzo di pane e un letto tutto sommato è facile. Invece restituire il gusto della vita a una persona può essere più difficile. Ma non lo è se si riesce a ristabilire un rapporto personale con Dio. Il nostro lavoro sta tutto nell?avvicinare queste persone al cuore di Gesù. Poi il resto viene da solo».

Un?assistenza venata di mistica? Maria Pia, cortesemente, chiarisce: «No, perché per fare sentire di nuovo ?persona? chi viene nelle nostre casa, dobbiamo convincerlo a curarsi di se stesso. A prendere a cuore la propria igiene personale. A volersi bene anche in queste piccole necessità quotidiane».
Inutile chiedere statistiche. Come Madre Teresa le sue seguaci lavorano sull?onda della fiducia che ai numeri ci pensa sempre qualcun Altro. Così sui volontari si può esser certi che sono tanti, che sono di tutte le età, che sono estremamente fedeli. «Ci sono tanti gruppi che vengono dalle parrocchie. Tanti scout. A loro non chiediamo competenze particolari ma dedizione. Perché non pensiamo di essere né loro né noi degli assistenti sociali. Noi in particolare siamo delle contemplative nel cuore del mondo. Cioè delle contemplative chiamate all?azione dall?amore che hanno incontrato. Ma contemplative restiamo».

Questo rifiuto ad un approccio più professionale all?emarginazione non rischia di essere un limite? Di nuovo con cortese fermezza sister Maria Pia smentisce. «Pensi quanto era stata profetica Madre Teresa. Ci diceva sempre di non pensare che i poveri fossero solo quelli in Africa. Diceva che il povero è spesso il vicino di casa, che è nei palazzi dove vive la gente normale. Perché il povero è innanzitutto chi pensa di non essere amato. Di non essere stato voluto. E sono proprio questi poveri che bussano sempre più frequentemente alle nostre porte».

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