Famiglia
madre teresa La storia continua
Una giornata con le Missionarie della Carità a Roma
di Redazione
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Nella casa di accoglienza
al Celio vivono 50 persone senza fissa dimora.
Tutto è ordinato e pulito.
Ma le suore non si limitano a gestire la casa.
Ogni mattina escono e vanno negli ospedali
o alla stazione Termini
per incontrare
i bisogni degli ultimi
Roma, ore 8. Il cancello a metà della scalinata che porta alla chiesa di San Gregorio al Celio si apre e le vedi uscire. A due a due. Nel loro sari bianco bordato di azzurro, quello che era tradizionale per le donne che a Calcutta puliscono le strade, e una borsa a tracolla. Sono le Missionarie della Carità, l’ordine fondato nel 1950 da Madre Teresa. Così, tutte le mattine percorrono le vie della capitale per andare a trovare famiglie o persone indigenti, alcune si recano negli ospedali, altre alla stazione Termini ad aiutare quelle che normalmente vengono definite “persone senza fissa dimora”. A volte le si incontra ai crocicchi delle strade a parlare con chi chiede l’elemosina.
Le suore provengono da tutto il mondo e Madre Teresa volle che la lingua ufficiale, anche nella recita delle preghiere e nella liturgia, fosse l’inglese. Spiega sister Maria Pia: «Dove è possibile cerchiamo di rintracciare i familiari o se sono clandestini di regolarizzarli. Molti sono alcolizzati, altri hanno problemi mentali». Dentro è tutto pulito, ordinato. Non c’è confusione, regna una pace fatta dei semplici gesti pieni di attenzione che le suore hanno verso ciascun ospite. Ognuno è come una perla, un tesoro: va accudito e amato. Un tesoro per chi? La stessa domanda era stata rivolta a Madre Teresa: «Quali motivazioni hanno le sue sorelle per fare tutto quello che fanno?». E lei semplicemente: «Amano Gesù. Trasformano in azioni viventi quell’amore. Servire i più poveri dei poveri non è la nostra vocazione, la nostra vocazione è appartenere a Cristo».
Sister Elia lavora all’ufficio della postulazione – Madre Teresa è stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 2003 – all’ultimo piano della casa, raccoglie e archivia testimonianze e materiali vari in vista del processo di canonizzazione. L’aiuta Marino, un ospite della casa. «Loro hanno dato tanto a me e io in qualche modo cerco di ricambiare. Ne ho combinate di tutti i colori nella mia vita, ma da qui non voglio più andare via». Ognuno aiuta come può: chi spinge una carrozzina, chi porta i fiori alla statua della Madonna, chi a tavola versa l’acqua. Le suore non fanno discorsi, solo alcuni momenti di preghiera che scandiscono la giornata degli ospiti. Non stanno ferme un secondo, senza nessuna frenesia nel fare. Dalla tasca del sari spesso si vede spuntare la corona del Rosario. «In certi momenti non posso fare altro che ripetere meccanicamente l’Ave Maria», aveva scritto Madre Teresa.
Quasi di fronte c’è la stanza dove Madre Teresa dormiva quando veniva a Roma: un letto, una piccola scrivania, il crocifisso. L’essenziale. Come era Madre Teresa? «Una di noi», risponde sister Maria Pia. «Ci accompagnava in giro per la città. Una volta, era già ammalata, pioveva a dirotto e lei per aiutarci teneva gli ombrelli in modo che noi avessimo le mani libere. Era così. Poche parole». Come loro.
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