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Madjer: «Il mondiale? Un’altra indipendenza»

Parla il «tacco di Allah», neo ambasciatore Unesco

di Joshua Massarenti

«Viviamo un clima pazzesco: dietro questa nazionale c’è un intero popolo». E dopo una vita all’estero, ai giovani che cercano fortuna in Europa dice: «Il problema è saper reggere la pressione, in Africa dovremmo investire sulla formazione»
27 maggio 1987. Una data che rimarrà nella storia del calcio mondiale. Siamo al 77esimo minuto della finale della Coppa dei Campioni che oppone il Porto al Bayern di Monaco. Lo stadio Prater di Vienna è pieno come un uovo. Sugli spalti i tifosi bavaresi assaporano già il trionfo della loro squadra, in vantaggio 1 a 0 sui portoghesi. Il Porto è in evidente affanno e il suo allenatore Artur Jorge non sa più a che santi rivolgersi. Rabah Madjer, che santo non è, non ci sta. E nemmeno il suo compagno di squadra Juary, che in area di rigore rifila al centravanti di origine algerina una palla impossibile da buttare in rete. Un giocatore dai cromosomi normali avrebbe fermato il pallone, per poi girarsi su stesso e tirare. Madjer no. Con un incredibile colpo di tacco, mette a segno un gesto tecnico che entra di diritto nella leggenda del calcio. È il goal del pari, al quale seguirà quello della vittoria di Juary.
«Un goal alla Madjer». Da allora in poi, un marchio di fabbrica. Professionisti o dilettanti, non fa differenza. Dal 1987 sono passati 23 anni. In tutto questo periodo, nessuno è riuscito a levargli il titolo di «Miglioe calciatore della storia del calcio arabo». Oggi Madjer vive a Doha, in Qatar. Vita ha raggiunto al telefono un uomo felice, appena tornato da Parigi con in tasca la nomina di Ambasciatore di buona volontà per l’Unesco.
Vita: Signor Madjer, un altro premio. Quelli in bacheca non bastavano?
Rabah Madjer: Nella vita bisogna sempre guardare avanti, mai indietro.
Vita: Eppure indietro ci sono ricordi straordinari?
Madjer: So che lei farà riferimento a quel famoso colpo di tacco, ma visto che siamo in aria di Mondiali le vorrei ricordare la rete che ho messo a segno per l’Algeria contro la Germania ai Mondiali di Spagna nel 1982. Era la prima volta che il nostro Paese partecipava a una Coppa del Mondo. Un ricordo incredibile, fatto di gioie pazzesche come la vittoria sui tedeschi e delusioni tremende quando Germania e Austria si misero d’accordo per farci fuori al primo turno. Comunque la Spagna è un bel ricordo anche per gli italiani, o sbaglio?
Vita: Lo è, ma bisogna guardare avanti. L’edizione sudafricana segna il ritorno dell’Algeria dopo oltre due decenni di assenza da una Coppa del Mondo. Che effetto fa?
Madjer: Bellissimo. Io in questa squadra ci credo. Non ci saranno fenomeni come nella nostra generazione, ma collettivamente sono forti. Hanno uno spirito vincente che mi piace.
Vita: Di spirito vincente ce n’è voluto per sconfiggere l’Egitto in fase di spareggio. Al Cairo hanno accolto i calciatori algerini a sassate. Una violenza mai vista, nemmeno in Europa?
Madjer: Lei parla di odio, io preferisco parlare di sfida. Una sfida pluridecennale per dominare il calcio del Maghreb. Certo, non posso nascondere la mia delusione rispetto al clima molto negativo che ha accompagnato questo spareggio. Il calcio ha per vocazione quella di unire gli uomini, non di dividerli. Io alla parola fairplay ci credo, eccome. Ma queste aggressioni sono acqua passata. Oggi vedo un intero popolo vivere questi Mondiali come una seconda indipendenza dell’Algeria. In tutto il Paese sta crescendo un ambiente pazzesco, molto positivo. Come tutti gli algerini, non vedo l’ora che la manifestazione inizi.
Vita: Lei tra l’11 giugno e l’11 luglio cosa farà?
Madjer: Il consulente per il canale panarabo Al Arabya. Dopo sette anni passati nelle fila di Al Jazeera, volevo cambiare aria.
Vita: Cambiare aria è il motto di quasi tutti i calciatori africani che vogliono sfondare in Europa per ripetere le imprese di Drogba ed Eto’o. Uno studio di un’associazione francese rivela tuttavia che il 95% degli atleti africani presenti nel Vecchio continente finiscono su una strada. Lei a un giovane calciatore africano che consigli darebbe?
Madjer: Di provarci, ma con la coscienza che per sfondare bisogna essere molto più forti di un calciatore europeo. Per la nostra generazione degli anni 70-80 era più facile. Non c’erano tutte queste pressioni, e soprattutto non c’era tutta questa montagna di soldi. Dai manager all’allenatore, passando per i calciatori stessi, gli agenti, i tifosi, un giocatore africano deve prestare molta più attenzione a quanto accade intorno a sé. Non è facile, purtroppo molti non reggono la pressione. Bisognerebbe prepararli bene in Africa, investire nella formazione. In giro vedo troppi ragazzi bruciarsi le ali.

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