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Macron: «L’Intelligenza Artificiale è una sfida per la società civile»

«Finché la tecnica serve il bene comune», spiega Macron, «non ci sono problemi». Ma oggi robot e algoritmi sfidano la tenuta dei processi democratici. Per questo, osserva il Presidente francese, vanno sfidati sul loro terreno: «innovazioni di questo genere non devono corrompere l’esigenza democratica. Dobbiamo immettere trasparenza e lealtà nel sistema»

di Marco Dotti

Il principale pericolo dell’Intelligenza Artificiale, osserva uno dei suoi più noti teorici, il ricercatore americano Eliezer Yudkowsky, «è senza dubbio rappresentato dalla possibilità che le persone arrivino troppo presto alla conclusione senza averla capita».

Ma che cos’è l’Intelligenza Artificiale? Esistono almeno 50 definizioni di AI. L’Università di Stanford la definisce «una scienza e un insieme di tecniche computazionali che vengono ispirate – pur operando tipicamente in maniera diversa – dal modo in cui gli esseri umani utilizzano il proprio sistema nervoso e il proprio corpo per sentire, imparare, ragionare e agire».

Come sempre, ci sono gli apocalittici che vedono nero nei programmi di ricerca sull’AI e, in particolare, sulla loro applicazione concreta tramite robot ai campi del lavoro, della salute, della scuola. E come sempre ci sono gli integrati che non si fanno molti scrupoli, anche difronte a numeri che sembrano parlare chiaro. Il Rapporto McKinsey 2017, ad esempio, titolato A Future That Works: Automation, Employment, and Productivity, afferma che il 49% dei lavori svolti oggi nel mondo da persone fisiche potranno essere automatizzati. In Italia, la percentuale salirebbe al 51%, il che significa che circa 11 milioni di persone potrebbero essere sostituiti da algoritmi e macchine “intelligenti”. Sarà davvero così?

Più pragmatica la posizione di Jyrki Katainen: «nessuno può affermare con certezza quale sarà il futuro del lavoro» in un mondo controllato da algoritmi e AI. Il rischio è grande. Ma per rispondere adeguatamente al rischio, osserva il vicepresidente della Commissione per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività nella Commissione Juncker, dobbiamo cogliere a pieno la sfida culturale che l'innovazione ci lancia: investire in cultura, non solo in automazione; investire in ricerca, non solo in comunicazione; investire in partecipazione, non solo in formazione. E coinvolgere i corpi intermedi. Perché è nel sociale che l’AI avrà i suoi impatti più grandi: scuola, sanità, assistenza, educazione.

La Commissione Europea ha annunciato uno stanziamento di 1 miliardo di euro sul breve termine (2020) e un complessivo investimento di 200 miliardi sul medio-lungo termine. Ma nel frattempo, a segnare il passo è la Francia di Emmanuel Macron che, con un investimento immediato di 1,5miliardi di euro, ha messo in campo un ambizioso piano di AI per lo sviluppo. Mai più sviluppo senza progresso, era uno slogan di qualche decennio fa.


Oggi, più che di slogan o di predicati salti di paradigma, serve capire che il mutamento è dietro l’angolo. Per questo, Macron ha affidato il programma di ricerca a un matematico come Cédric Villani. Come titolava il Sole 24 ore, con Villani Macron ha deciso di sfidare la Silicon Valley sul suo terreno.

Dobbiamo dunque temere l’AI, lasciando che il processo si governi da sé? O, come suggerisce Emmanuel Macron, cercare di governarne gli effetti e l’impatto etico, coinvolgendo i corpi intermedi come ha fatto nel marzo scorso il governo inglese che ha lanciato un “Patto per l’Intelligenza Artificiale”.

Cédric Villani, medaglia Fields per la matematica e deputato , spiega che la strategia francese sull’AI riguarda prevalentemente quattro ambiti: sanità, trasporto, difesa, ambiente. Ad eccezione della difesa, tre su quattro sono ambiti di competenza del Terzo settore.

Villani ha inoltre spiegato che per non disperdere risorse e energie, il campo va delimitato. «Non diciamo che si debbano abbandonare gli altri ambiti», spiega il matematico e deputato eletto con il movimento La République En Marche. «Tutto, però, va affrontato in un’ottica sperimentale: per l’educazione, ad esempio, ancora non sappiamo quali siano le buone tecniche di Intelligenza Artificiale in grado di dare risultati».

Il rischio, osserva il ricercatore israeliano Yuval Noah Harari, autore del best seller Homo Deus, è che il facile entusiasmo, anziché distruggere vecchi lavori, crei battaglioni di lavoratori inutili, formati per professionalità che non serviranno mai.

Più ottimista, ça va sans dire, è l’ultimo Rapporto McKinsey, Notes form the AI frontier, si sostiene che in pochi anni, le applicazioni di AI sarebbero in grado di creare un valore aggiunto fra i 3,8 e i 5,8 trilioni di dollari sul piano globale. Prevalentemente in settori come la logistica e la manifattura.

Il piano-Macron per una strategia sull’AI, presentato nel marzo scorso al Collège de France, prevede non solo un investimento finanziario, ma in primo luogo un investimento intellettuale: capire dove stiamo andando, perché e con quali mezzi ci stiamo andando e, soprattutto, perché.

«Finché la tecnica serve il bene comune», spiega Macron, «non ci sono problemi». Dobbiamo, prosegue Macron, «mantenere una fiducia democratica in questa innovazione. Innovazioni di questo genere non devono corrompere l’esigenza democratica. Dobbiamo immettere trasparenza e lealtà nel sistema». Per questo, nota Macron, bisogna garantire un dibatto concretamente democratico e indipendente, favorendo quella mediazione che solo una società civile consapevole dei propri compiti e dell'urgenza di ripensare il presente può ancora garantire.

Tra gli apocalittici e gli integrati, Macron ha proposto quindi una terza via: la via dei corpi intermedi. «è il modo in cui i dispositivi saranno implementati e come saranno suddivisi i profitti resi possibili dall’AI» che segneranno il nostro futuro.

Contro la neutralità apparente della tecnica, Macron – che, ricordiamolo, è stato segretario personale del filosofo Paul Ricoeur – ricorda una verità elementare, talmente elementare da passare in secondo piano nel dibattito corrente: saranno «le scelte che faremo in termini di organizzazione dei compiti e di squadre che determineranno in gran parte il lato da cui penderà la bilancia». Se la bilancia penderà per la macchiana o per l’uomo, sarà l'uomo a deciderlo. Non un algoritmo o una macchina.

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