Mondo
Macron e Le Pen si sfidano (anche) sull’Africa
Confermando i sondaggi che li davano favoriti nelle ultime settimane, Emmanuel Macron e Marine Le Pen accedono al secondo turno delle presidenziali francesi. Vita.it ha messo a confronto le visioni “africane” di due candidati che si oppongono su tutto. O quasi.
Da domenica scorsa, il mondo ha le idee un pò più chiare su chi potrebbe diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo. Confermando le tendenze delineate dai sondaggi nelle ultime settimane, il centrista Emmanuel Macron e la leader di estrema destra, Marine Le Pen, andranno al ballottaggio delle elezioni presidenziali più sorprendenti della V° Repubblica francese.
Ecco due figure politiche che si oppongono su tutto. Anche sulla politica africana? Vita.it è andata a scrutare i loro programmi, ma del continente africano non c’è traccia, o quasi. I due candidati si sono invece rivelati più prolissi nelle interviste che hanno concesso a Le Monde Afrique alla vigilia del primo turno. Dalle migrazioni africane agli aiuti pubblici allo sviluppo, passando per le ferite del colonialismo e le politiche di sicurezza in Africa, Macron e Le Pen hanno risposto a viso aperto rivelando molte divergenze ma anche qualche affinità. Come tutti i loro predecessori (a partire da Hollande e Sarkozy, i candidati delle presidenziali del 2012), si sono impegnati a cambiare radicalmente “le relazioni tra la Francia e l’Africa”, in un’era segnata dalla lotta al terrorismo e alle migrazioni illegali. In attesa di vedere se si esprimeranno di nuovo sull’Africa da qui al ballottaggio previsto il 7 maggio, sino ad ora la “visione africana” dei due candidati è stata evidenziata dall’insieme dei mass-media francesi soltanto in due occasioni durante la campagna elettorale: nel caso di Le Pen, nel corso della sua visita ufficiale in Ciad il 22 marzo scorso, mentre per Macron subito dopo l’intervista concessa in febbraio al canale algerino Echorouk TV durante la quale ha definito il colonialismo “un crimine contro l’umanità”. Ed e’ proprio dall’era coloniale che conviene iniziare questo faccia-a-faccia.
Vita.it è andata a scrutare i loro programmi, ma del continente africano non c’è traccia, o quasi. I due candidati si sono invece rivelati più prolissi nelle interviste che hanno concesso a Le Monde Afrique alla vigilia del primo turno.
Colonialismo: un passato che divide
Niente da fare. Se un francese decide di mettere i piedi in Africa, non può pensare di andarsene in giro con leggerezza. Lasciamo un attimo da parte la povertà estrema, le guerre e le malattie, sulle sue spalle si porta appresso un bagaglio su cui nemmeno la compagnia aerea più clemente al mondo potrebbe chiudere un occhio. Questo bagaglio è un fardello che ha un nome: il colonialismo. A cinquant’anni di distanza dalle indipendenze, la Francia non è mai riuscita a voltare una delle pagine più dolorose e contestate della sua storia. Di sicuro non assieme agli africani, che come minimo si interrogano sul perché nella patria della Liberté, dell’Egalité e della Fraternité, si contano 23 musei dedicati allo zoccolo, ma nemmeno uno sull'epoca coloniale. E non ci sono aiuti che tengano, le ferite rimangono aperte. Il dolore – forse – prima o poi passerà, complice l’emergere di nuove generazioni che da entrambe le rive del Mediterraneo preferiscono guardare al futuro, ma non è detto visto le polemiche che regorlamente risorgono attorno alla schiavitù o al razzismo che ormai milioni di francesi esprimono senza timori alla luce del sole. O forse la classe politica francese dovrebbe ispirarsi all'Italia e alle scuse presentate 19 anni fa ad Addis Ababa dall'ex presidente Oscar Luigi Scalfaro alle autorità etiopi per i crimini perpetrati dal nostro paese durante l'era coloniale.
A cinquant’anni di distanza dalle indipendenze, la Francia non è mai riuscita a voltare una delle pagine più dolorose e contestate della sua storia. Nella patria della Liberté, dell’Egalité e della Fraternité, si contano 23 musei dedicati allo zoccolo, ma nemmeno uno sul colonialismo.
Lo sa bene Emmanuel Macron, protagonista in febbraio di una delle polemiche più inattese della campagna elettorale. In un’intervista rilasciata ad una tv privata durante una sua visita ufficiale ad Algeri, l’ex ministro delle Finanze di François Hollande ha definito il colonialismo “un crimine contro l’umanità”. Mai un leader politico francese, tanto meno un candidato-favorito alle presidenziali si era espresso in termini così duri sull’epoca coloniale. Le polemiche sul ruolo della Francia in Africa, cristalizzate dalla Guerra di Algeria, non si sono mai placate. Tanto per non andare troppo indietro nel tempo, nel 2005 l’ex presidente Jacques Chirac aveva giudicato il contributo della Francia addirittura “positivo” durante il colonialismo, mentre il suo successore Nicolas Sarkozy aveva deciso di fare un gesto nei confronti dei partner africani definendo “il sistema coloniale profondamente ingiusto”, ma rifiutandosi di chiedere scusa per le atrocità perpetrate da Parigi in Algeria. Lo stesso approccio è stato adottato nel 2012 da Hollande, disposto a riconoscere il carattere “brutale del sistema coloniale”, ma affermando nel contempo di non essere venuto ad Algeri per “fare penitenza o chiedere scusa”.
In un’intervista rilasciata ad una tv privata durante una sua visita ufficiale ad Algeri, l’ex ministro delle Finanze di François Hollande ha definito il colonialismo “un crimine contro l’umanità”, senza volersi "iscrivere in una logica di penitenza".
Con Macron la svolta sembrava a portata di mano. E invece no. Dopo le polemiche suscitate dalla sua intervista, il leader di En Marche! ha iniziato a fare marcia indietro dichiarando a Le Monde Afrique che sì “il colonialismo ha generato delle violenze che hanno negato l’umanità delle vittime, ma senza volersi “iscrivere in una logica di penitenza”.
Per Marine Le Pen invece nessun dubbio: “il colonialismo ha dato tantissimo, special modo in Algeria. Anche gli algerini di buona fede lo riconoscono”. E che sicuramente avranno piacere di sottacere le torture messe in pratica dall’esercito francese (e da suo padre, Jean-Marie Le Pen) e le centinaia di migliaia di vittime dell’occupazione. Oltre a negare i crimini coloniali (cosa che Macron non fa), Marine sostiene che “la Francia non ha da scusarsi. Deve invece rendere omaggio ai suoi ex combattenti e saldare i conti con gli harkis (soldati algerini rimasti fino alla fine al fianco del potere coloniale e abbandonati alla loro sorte da Parigi, ndr)”. Entrambi poi si dicono convinti della necessità di costruire un futuro meno tormentato con l’Algeria e i partne del Sud. Senza sorpresa, per la Presidente del Front National, le relazioni tra la Francia e l’Africa vanno costruite sulla lotta contro il terrorismo e le migrazioni illegali. Essendo la sicurezza la priorità numero uno per quasi tutti i leader africani, Le Pen troverà sicuramente orecchie molto attenti, tanto più che molti di questi leader, attaccatissimi alla nozione di sovranità nazionale, potrebbero apprezzare il nazionalismo targato Front National nei momenti più opportuni (forse un pò meno quando Le Pen evoca la sua volontà di privilegiare i "francesi" ai migranti africani per l'accesso al mercato del lavoro, ai servizi sanitari, ecc, perché prima o poi le diaspore africane si fanno sentire).
Il colonialismo ha dato tantissimo, special modo in Algeria. Anche gli algerini di buona fede lo riconoscono.
Marine Le Pen, leader del Front National
Migrazioni: vengo anch’io, no tu no
Se c’è un tema su cui Macron e Le Pen sono d’accordo è la lotta da portare avanti contro le migrazioni illegali aiutando gli africani a casa loro. C’est dans l’air du temps. Su questo fronte, Le Pen non ha rivali. "L’immigrazione di massa è una catastrofe, sia per i paesi europei che per quelli di origine”. Marine ha una ricetta tutta sua per fermare le 'orde di selvaggi' che si affacciano all’Europa nel tentativo di raggiungerla rischiando la morte. “Il ristabilimento di frontiere nazionali controllate da doganieri, gendarmi e poliziotti sarà una prima risposta. Dopo di che, esigeremo dai nostri partner europei una riforma dell’operazione navale Sophia affinché cessi di essere complice dei trafficanti e rispedisca i migranti laddove sono partiti, in Libia”. Ma Marine ha anche un cuore. Alla faccia di coloro che sostengono che non ce l’ha, “ci assicureremo che [i migranti] saranno trattati conformemente al diritto internazionale, in attesa che vengano rimpatriati nei loro paesi di origine”.
L’immigrazione massiccia è una catastrofe, sia per i paesi europei che per quelli di origine. L'operazione navale Sophia de cessare di essere complice dei trafficanti e rispedire i migranti laddove sono partiti, in Libia.
Marine Le Pen
Non la pensa così invece Macron. Per il più europeista dei candidati alle presidenziali, “la Francia deve mantenere i suoi impegni in materia di accoglienza dei rifugiati”. E con buona pace dell’UE e dei suoi Stati Membri che stanno provando ad applicare con le autorità libiche lo stesso accordo passato con Akara sul controllo esternalizzato delle frontiere, “la creazione di campi profughi alla frontiera non è una buona idea, lo vediamo in Libia”. Ma al pari di Le Pen, il leader di En Marche! è convinto che “bisogna lavorare a monte: contro le reti criminali dei trafficanti; contro le cause delle migrazioni, aiutando i paesi di origine dei migranti ad offrire ai loro cittadini un futuro in loco”. E questo li riporta saggiamente in linea con il nuovo approccio dell’UE sull’Africa, che mira a stabilizzare le popolazioni africane nelle aree di provenienza. Con una differenza, perché Macron è deciso a “facilitare la circolazione di ricercatori e imprenditori per innovare e creare insieme del valore aggiunto”.
La Francia deve mantenere i suoi impegni in materia di accoglienza dei rifugiati. La creazione di campi profughi alla frontiera non è una buona idea, lo vediamo in Libia.
Emmanuel Macron, candidato alle presidenziali per il movimento En Marche!
In che modo raccogliere le sfide e le opportunità che offre il continente africano? Intanto ponendo fine “alle relazioni della France-Afrique che non hanno beneficiato alle popolazioni”, sostiene Le Pen. Ma questo lo dicono sempre tutti i presidenziabili, Sarkozy e Hollando compresi. Per Marine, “non ci sarà sviluppo senza sicurezza”, la quale diventerà una sua priorità assoluta se accede all’Eliseo, mentre Macron ha una visione più allargata delle relazioni con l’Africa. Il nuovo protagonista del mondo sconquassato della politica francese vuole “ristabilire un partenariato ambizioso tra la Francia, l’Europa, il Mediterraneo e l’Africa che rafforzi interessi mutui in tutti i settori: clima, commercio, impiego, innovazione, ma anche sicurezza e stabilità. Affianco alle relazioni tra Stati, questo partenariato si appoggerà sulle forze vive africane e francesi: intellettuali, ONG, diaspore della Francia e dell’Africa, imprese”.
Se c’è un tema su cui Macron e Le Pen sono d’accordo è la lotta da portare avanti contro le migrazioni illegali aiutando gli africani a casa loro.
Aiuti pubblici allo sviluppo: lo giuro, raggiungeremo lo 0,7% entro il 2030!
E gli aiuti pubblici allo sviluppo in tutto questo? Assieme ai dibattiti infuocati sul colonialismo e le migrazioni, è un tema su cui spesso i candidati alle presidenziali d’oltralpe spendono belle parole durante la campagna elettorale, per poi contraddirle puntualmente con i fatti. Partiamo quindi dalla realtà. Come abbiamo ricordato nel numero di febbraio dedicato alla Cooperazione allo sviluppo, osservado i cugini francesi si capisce in fretta che nello spazio europeo l’erba del vicino non è sempre più verde di quella italiana. Le bilan en trompe l’oeil de l’aide française à l’Afrique, è il titolo inequivocabile di un lungo articolo che la sezione “Africa” del quotidiano Le Monde ha dedicato al sistema francese di cooperazione internazionale.
Secondo il rapporto 2016 del Comitato di aiuto allo sviluppo (DAC) dell’OCSE, nel 2015 l’apporto netto dell’Aps francese ammontano a 9,2 miliardi di euro, più del doppio rispetto all’Italia, pari a 0,37% del Pil nazionale e con un aumento del 2,8% rispetto al 2014, la prima tendenza alla crescita dal 2010. Dell’Aps francese, “la parte slegata (ad esclusione delle spese amministrative e dei costi di rifugiati ammontava al 92,3% nel 2014 contro una media dell’80% nei paesi membri del DAC”, sottolinea l’Ocse.
Nel 2015 l’apporto netto dell’Aps francese ammontano a 9,2 miliardi di euro, pari a 0,37% del Pil nazionale, con un aumento del 2,8% rispetto al 2014
Sul tema caldissimo dell’emergenza migrazioni, Parigi stima ad oltre 485 milioni di euro il peso dell’accoglienza ai rifugiati nel 2014, ovvero il 4,6% dell’Aps netto. Per quanto riguarda i fondi assegnati alla società civile, la Francia è ferma al 3,2% prelevati dagli aiuti bilaterali (che coprono il 66,3% dell’aiuto pubblico complessivo), lontanissima dalla media DAC (17,4%). Infine, a livello geografico, a ritagliarsi la parte del leone è l’Africa, che assorbe il 33% dell’aiuto bilaterale nel 2014, seguita dal Nord Africa/Medioriente (18%) e dal Sudamerica (9%). Ed è proprio guardando da vicino l’azione della Francia il continente africano che si scopre che il diavolo si nasconde nei dettagli. “L’Africa è il nostro futuro” aveva dichiarato il Presidente Hollande due anni fa in un forum franco-africano. Le promesse fatte dall’inquilino dell’Eliseo ai suoi omologhi africani durante COP21 di riservare 1,9 miliardi di euro da qui al 2020 per sostenere l’elettrificazione in Africa, non impressionano l’economista francese Serge Michailof, che denuncia un sistema basato quasi esclusivamente sui prestiti, mettendo de facto nell’angolo gli Stati africani più fragili.
L'economista francese Serge Michailof, che denuncia un sistema basato quasi esclusivamente sui prestiti, mettendo de facto nell’angolo gli Stati africani più fragili.
“Sui nove miliardi di euro spesi ogni anno a titolo di Aps, appena 300 milioni riguardano doni”, sostiene Michailov. “Ora, i paesi più poveri, special modo quelli saheliani, non possono indebitarsi”. Risultato: nel 2015, i 16 paesi che la cooperazione d’oltralpe ritiene prioritari – tutti africani – hanno ricevuto appena 8% di finanziamenti. “E’ incomprensibile”, denuncia Philippe Jahshan, presidente di Coordination Sud, la piattaforma delle ong francesi. “Di fronte alla molteplicazione delle crisi umanitarie e dei bisogni, il governo avrebbe dovuto mobilitare più fondi per i più poveri”.
Ma Parigi la pensa diversamente. Oggi a prevalere è la diplomazia economica, con focus sul settore privato e su paesi a medio reddito come Sudafrica, Angola, Kenya e Nigeria. Sulla scia dell’alleanza italiana Maeci-Aics-Cdp, nel dicembre 2016 l’Agenzia francese per lo sviluppo (Afd) ha siglato un accordo con la Cassa dei depositi nazionale dando nascita ad un primo fondo comune di 500 milioni di euro a favore delle infrastutture in Africa. Per l’Ocse/Dac, nessun dubbio: “la Francia considera prioritaria la mobilitazione di risorse addizionali all’Aps”. Attraverso la sua filiale Proparco, e parallemente alle attività del ministero delle Finanze (tramite UBIFRANCE, l’agenzia per lo sviluppo internazionale delle imprese francesi), l’Afd mira a promuovere il settore privato, special modo le piccole e medie imprese, dei paesi africani e degli Stati fragili attraverso una molteplicità di strumenti finanziari che includono i prestiti e le prese di partecipazione.
Nel 2015, i 16 paesi che la cooperazione d’oltralpe ritiene prioritari – tutti africani – hanno ricevuto appena 8% di finanziamenti. “E’ incomprensibile. Di fronte alla molteplicazione delle crisi umanitarie e dei bisogni, il governo avrebbe dovuto mobilitare più fondi per i più poveri”.
Philippe Jahshan, presidente di Coordination Sud
Ma la coppia Le Pen-Macron, che cosa ne pensa? “Porteremo gli Aps allo 0,7% del Pil”, assicura la candidata del Front National, senza indicare l’anno di riferimento. Il suo concorrente diretto promette “di rivedere, in concertazione con la società civile, la legge di programmazione dell’aiuto allo sviluppo per stabilire una traitettoria che miri allo 0,7% da raggiungere tra il 2022 e il 2030, in funzione dei margini budgetari”. In altre parole, Macron si dice disposto a soddisfare le esigenze delle ONG e rispettare gli impegni presi dalla Francia nell’ambito dei nuovi Obietti di sviluppo sostenibile (SDGs), ma con gli occhi sempre puntati sulla spesa pubblica. E se il deficit è troppo grande, niente 0,7%! Confermando invece una rottura con l’era di Hollande, il leader centrista mira ad accrescere sia gli aiuti a dono che quelli bilaterali in Africa, con una priorità “ai paesi dello spazio francofono e quelli meno avanzati”.
Ma con quali attori? E qui rispunta la sua anima social-liberale attraverso la quale intende “mobilitare più finanziamenti pubblici e privati, per finanziare le infrastrutture e le piccole e medie imprese africane, che sono generatrici di impieghi. Voglio altresì promuovere il ruolo delle donne e raddoppiare il finanziamento destinato ai progetti che rafforzano l’uguaglianza tra donne e uomini”.
Voglio rivedere, in concertazione con la società civile, la legge di programmazione dell’aiuto allo sviluppo per stabilire una traitettoria che miri allo 0,7% da raggiungere tra il 2022 e il 2030, in funzione dei margini budgetari.
Emmanuel Macron
Per Marine Le Pen, a dettare legge è sempre e comunque la sicurezza dei francesi. L’aiuto pubblico allo sviluppo “non è soltanto una questione di solidarietà: se fosse così, l’aiuto della Francia all’Africa non sarebbe sceso allo 0,37% del Pil sotto il governo socialista”. Confusione di cifre a parte (lo 0,37% si riferisce all’insieme dei paesi beneficiari dell’Aps francese nel mondo, e non soltanto ai paesi africani), Le Pen vuole portare “l’aiuto allo 0,7% del Pil perché ne va della nostra sicurezza nazionale. I francesi devono infatti capire che questo sforzo, pari a circa 16 miliardi di euro all’anno, contribuendo alla sicurezza e alla prosperità degli africani, costituisce l’unico baluardo contro le minacce rappresentate dalle migrazioni di massa e dal terrorismo, e una scommessa per una ricchezza condivisa sul lungo termine”. In che modo? Sospendendo “gli aiuti a pioggia” per “rispondere ai bisogni concreti delle popolazioni più fragili, in particolare le donne, con priorità assoluta al Sahel: sicurezza, educazione e agricoltura”.
Porteremo gli Aps allo 0,7% del Pil. Non è soltanto una questione di solidarietà, ne va della nostra sicurezza nazionale.
Marine Le Pen
Diritti umani e democrazia: Parigi non rimarrà indifferente
Per non offendere Marianne, non potevamo chiudere l'analisi senza menzionare i diritti umani e la democrazia. Mentre in molti paesi africani, i giovani si mobilitano per contrastare i regimi autoritari (Repubblica democratica del Congo su tutti), i nostri due candidati assicurano che Parigi non rimarrà indifferente. Il principio sacrosanto di “sovranità nazionale” spinge Marine Le Pen a sottolineare che “la Francia non ha nessuna legittimità per pronunciarsi sulla vita politica nazionale di questo o quest’altro paese” africano. Ma fino ad un certo punto, perché è il dovere del suo paese di “denunciare le violenze e le violazioni dei processi democratici”. Risultato: “dobbiamo rimanere intransigenti sul buon uso dei soldi del contribuente francese: l’aiuto in Africa sarà condizionato alla buona governance e al rispetto dello Stato di diritto”.
Risulta molto più sottile l’approccio di Emmanuel Macron, che si dichiara “sensibile alle aspirazioni democratiche dei cittadini africani. Se sono eletto, difenderò i principi democratici fondamentali ovunque in Africa e sosterrò l’azione dell’Unione Africana, che ha dimostrato la sua capacità di azione sul terreno”. Riguardo gli aiuti, “quelli destinati alle popolazioni in situazione difficile deve essere preservati, ma dobbiamo rimanere pronti a riconsiderare il nostro sostegno diretto ai governi che violano i diritti fondamentali”.
Il 7 maggio sapremo quale politica africana verrà imposta al 55, rue du Faubourg Saint-Honoré. Et ce sera pas de la tarte.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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