Famiglia
Maadri di Palestina: i nostri figli carne da cannone
Parla Barbara Cupisti, regista di Madri, il docufilm presentato al Festival di Venezia
«Se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto possiamo continuare a parlare, perché non lo possono fare gli altri?». A chiederselo sono le donne israeliane e palestinesi protagoniste di Madri, il documentario realizzato da Barbara Cupisti presentato il 3 settembre al Festival di Venezia. Un film coraggioso, prezioso, che si mette in ascolto di mamme che hanno perso i loro figli, ma non la speranza di un futuro di pace. Vita ha potuto vederlo in anteprima e discuterne con la regista.
Vita: Com?è nata l?idea di questo lavoro?
Barbara Cupisti: Volevo realizzare un backstage su un documentario sul viaggio di Gesù. Mi interessava il punto di vista di Maria, donna cosciente che suo figlio ha un futuro segnato. Contemporaneamente volevo raccontare le storie delle madri di oggi, che vivono nei territori e sanno che i loro figli avranno un futuro incerto. Tante di loro dicono che fanno «carne da cannone». RaiCinema mi ha suggerito di approfondire la parte contemporanea.
Vita: Al film ha collaborato l?associazione Parents Circle, che riunisce genitori di entrambe le parti.
Cupisti: Sì. Li ho conosciuti quando sono andata in Israele per fare i sopralluoghi. Non i tipici sopralluoghi: dovevo capire la fattibilità del progetto. Una volta arrivata sono entrata in contatto con molte realtà, di cui Parents Circle è la più significativa. Loro lavorano non solo con le donne, ma con intere famiglie colpite dal lutto. I giovani, cioè i fratelli delle vittime, sono molto attivi?
Vita: Come lavora Parents Circle?
Cupisti: Quando accade qualcosa, contattano le famiglie. Non tutte accettano immediatamente: alcune hanno bisogno di tempo per elaborare il dolore, e solo poi si aprono al dialogo.
Vita: Le madri che appaiono nel film sono tutte membri dell?associazione?
Cupisti: No. Solo alcune. Ma la maggior parte non si era incontrata prima perciò nella scena finale, quella dell?incontro fra donne israeliane e palestinesi, ci sono stati momenti molto intensi.
Vita: Al posto delle loro parole, però, gli spettatori sentono brani delle testimonianze precedenti…
Cupisti: Sì, non volevo un epilogo troppo forte dal punto di vista emotivo. Se avessi inserito quello che si sono effettivamente dette avrei fatto un altro documentario.
Vita: A un certo punto una israeliana dice che il suo dolore è diverso da quello di una musulmana. Possibile?
Cupisti: In realtà è una frase che dimostra come non conosca la situazione palestinese. Molti comprendono invece che il dolore per un figlio è un lutto grandissimo, universale. Purtroppo però ci sono dei pregiudizi molto forti. Alcuni ad esempio sono convinti che i bambini palestinesi giochino solo con i mitra.
Vita: Il film accosta anche testimonianze incrociate…
Cupisti: Sì, ad esempio mostriamo il dolore di due donne che hanno perso le rispettive figlie in un attentato in un ristorante. Accanto c?è la testimonianza della palestinese il cui figlio è stato l?autore di quel massacro: mostra di comprenderlo, ma non sa perdonarlo? Ed è una cosa terribile.
Vita: Una scena molto forte. Tanto più che viene letta la lettera in cui il figlio kamikaze subordina il giudizio divino al perdono della madre.
Cupisti: Non ci sono sottotitoli perché non voglio pilotare nessuno. Ma quella lettera era la prima volta che lei la sentiva. E anche il marito, che gliela legge, l?aveva vista un?unica altra volta. Le reazioni sono impressionanti. Loro sono una coppia religiosa, ma non fanatica. Lei non sapeva che il figlio stava preparandosi a quel destino ed è consapevole che tutto ciò ricadrà sulle loro teste?
Vita: Deve essere stata dura girare una scena così…
Cupisti: È difficile mantenere l?equilibrio. A volte non riesci. Ci sono stati incontri nel corso dei quali non avevo nemmeno bisogno di fare la prima domanda tanta era la voglia di raccontare.
Vita: Nella seconda parte si percepisce la forza femminile verso la riconciliazione…
Cupisti: Le donne sono le uniche che riescono a riconoscere il dolore di un?altra madre. È una sofferenza talmente profonda, lacerante e intima che la riconosci immediatamente. D?altra parte si sa qual è il potere delle donne. Dovrebbero esercitarlo di più.
Vita: Nel prossimo lavoro parlerà dei figli?
Cupisti: Sì mentre ero in Israele per Madri ho girato parecchio materiale. Ora si tratta di montarlo. In questo caso sono partita dall?idea di raccontare dei gruppi pacifisti che esistono, lavorano molto, ma di cui si parla pochissimo. Alla fine, ho deciso di concentrarmi su un aspetto: e cioè come si vive sotto occupazione. Mi auguro sia un discorso universale sui bambini che vivono in uno stato di guerra e ocupazione.
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