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“Ma si può dare di più”

Le aziende ora sono più generose,dice Enrico Finzi.Ma finanziano "una tantum", senza passione,solo perché subissate da richieste.O per acquietarsi la coscienza

di Francesco Maggio

«Sì, le aziende insediate a Milano sono generose con le organizzazioni che si occupano di solidarietà, o perlomeno, negli ultimi anni lo sono diventate molto più che in passato. Ma i loro interventi peccano di eccessiva frammentarietà, oserei dire di erraticità, si limitano a finanziamenti sporadici. Queste imprese non si appassionano quasi mai ad una buona causa ?nel tempo?. Siamo dunque davvero ben lontani dagli standard di qualità propri del mondo anglosassone e anche da quelli che raggiungono non di rado, le piccole e medie imprese di regioni come il Triveneto, l?Emilia Romagna, le Marche, l?Umbria, la Toscana, gli stessi Abruzzo e Molise». A esprimersi così perentoriamente contro un certo ?provincialismo? tipico di molte nostre aziende (soprattutto quelle di dimensioni medio-grandi) che pur decidono di sostenere iniziative a sfondo benefico, è Enrico Finzi, presidente dell?Istituto di ricerca Astra/Demoskopea, che ha coordinato i lavori delle due ricerche commissionategli dalla Fondazione Opera San Francesco di Milano. Finzi denuncia i limiti della cosiddetta cultura, tutta italiana, dell??una tantum?: «Per gran parte delle nostre imprese, la solidarietà è fondamentalmente un fatto emotivo. Esse optano per una donazione a organizzazioni non profit impegnate in iniziative solidaristiche, fondamentalmente per due ragioni: perché ricevono pressanti richieste di contributi da parte di queste ultime, alle quali non si sentono di opporre un rifiuto; perché in determinati frangenti della vita aziendale è come se avvertissero il bisogno di ?lavarsi la coscienza?, non lesinando così finanziamenti , anche cospicui». «Il tutto, però avviene», continua Finzi, «in totale assenza di progettualità, sia dell?organizzazione non profit che poi, di fatto, non riesce a effettuare una pianificazione corretta di medio lungo periodo delle sue entrate, sia dell?azienda che da una simile episodicità non ricava gli opportuni benefici di immagine che una gestione ?professionale? delle donazioni sempre può arrecare». Ma si intravvedono all?orizzonte inversioni di tendenza? «Mentirei se dipingessi un quadro solo fosco del fenomeno donazioni», sottolinea il presidente di Astra/Demoskopea; «tuttavia per compiere l?auspicato salto di qualità è necessario si verifichino almeno tre condizioni: le imprese, per quanto possa sembrare paradossale, dovrebbero badare maggiormente al loro interesse ?egoistico?. Solo diventando consapevoli dei benefici di immagine potenzialmente ricavabili da un impegno diretto nella solidarietà, le imprese potranno cominciare a interessarsi sistematicamente alla stessa. Le imprese italiane, inoltre», aggiunge Finzi, «dovrebbero prendere esempio da quanto accade all?estero, dove molte aziende, quando c?è di mezzo un?iniziativa benefica da sostenere, spesso mettono da parte qualunque logica di concorrenza e uniscono gli sforzi per sostenere congiuntamente una buona causa. Ricavandone significativi ritorni di immagine. Infine, anche le organizzazioni non profit devono imparare a saper chiedere non sulla base delle esigenze di cassa del momento, bensì prospettando al potenziale finanziatore un progetto definito in ogni dettaglio, possibilmente di lungo respiro». E nel caso specifico di Milano? Enrico Finzi non ha dubbi al riguardo: «Le caratteristiche peculiari degli imprenditori milanesi sono il forte pragmatismo, la concretezza. Mi meraviglio tardino ancora a cogliere diffusamente le opportunità di business che la solidarietà in questo particolare momento storico presenta».


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