Non profit

Ma Ricossa sa cos’è il non profit?

Due esperti rispondono a una lettera apparsa sul "Giornale"

di Redazione

Egregio direttore, con queste poche righe vorremmo rispondere all?articolo scritto dal professor Sergio Ricossa sulle pagine de Il Giornale del 1° novembre scorso, intitolato ?Capitalisti di tutto il mondo io sto pregando per voi?. Questo essenzialmente perché il professore sembra aver confuso parecchie cose sulla storia, sul modus operandi e sul ruolo del settore non profit. Una premessa: la sua introduzione ci sembra poco credibile. Dice di assumere dai suoi studenti informazioni sul settore. Cosa alquanto strana vista la mole di lavori scientifici prodotti sull?argomento non profit dalle più importanti università del mondo. Lavori di cui un docente universitario di chiara fama come Ricossa dovrebbe essere a conoscenza. Cercando comunque di venire incontro alle lacune del professore, proveremo a dire due o tre cose necessariamente imprescindibili e in un linguaggio quanto più vicino a quello del professore. Primo punto: la storia. Il professore, già paladino di numerose battaglie per la libertà di iniziativa in campo economico, dimentica che sin dal Medioevo, in assenza di sistemi di tutela sanitaria e previdenziali statali, quel poco di sistematico e di organizzato è venuto proprio da quella parte di società che egli stesso ora sembra non conoscere. La cosiddetta società civile: confraternite religiose, corporazioni artigiane e del commercio e poi via via vere e proprie categorie professionali. Tutti soggetti che hanno liberamente creato ospedali, orfanotrofi, lazzaretti, sanatori, ospizi e tutto ciò che centinaia di palazzi (e non solo chiese) ancora testimoniano. Secondo: la definizione di azienda. La definizione generica di azienda del buon Zappa ci dice che essa è: ?un istituto economico destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza?. Vi è inscritto forse che il fine deve essere la distribuzione dell?utile e che i beni devono essere quelli comunemente in vista sugli scaffali dei supermercati o i servizi solo quelli di consulenza alle imprese? Perdonerà il professor Ricossa se ci permettiamo di allargare il suo orizzonte a dei beni chiamati ?relazionali? che sono identificabili genericamente con un servizio di prossimità, che sono difficilmenti sostituibili e che creano una relazione, un rapporto tra fonte e utente. Gli esempi sono tipici bisogni umani cui probabilmente lo stesso Zappa ha potuto sottrarsi: accudire un anziano, accompagnarlo, impegnarlo in attività ricreative che lo stimolino psicofisicamente. Per non parlare di altri bisogni espressi da chi, purtroppo, è portatore di un handicap o è emarginato o colpito da una malattia. Terzo: l?economia. Ogni azienda cerca il suo ?business?. Il suo prodotto trova mercato ove gli altri lo forniscono in modo meno efficiente (prezzi maggiori e peggior qualità) o dove non lo forniscono affatto. Senza entrare nel fatto che sia giusto o no, alcuni dei bisogni citati rimangono insoddisfatti, ovvero le aziende for profit non trovano conveniente operare. Non lo trovano semplicemente remunerativo. Assieme a quei bisogni insoddisfatti rimane insoddisfatto anche il cittadino. Negli stessi settori lo Stato, agendo per dovere, può non essere efficiente ossia spendere troppo, con danno futuro sulla finanza pubblica e quindi sul cittadino che dovrà pagare più tasse. Cosa può fare questo cittadino? Aggregarsi con altri suoi simili e organizzarsi assemblando strumenti aziendali (capitale, lavoro retribuito e specializzato) con idee e tempo libero dei volontari dando luogo a risposte concrete, denominate organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, mutue, fondazioni, associazioni e quanto altro è osservabile. Il dubbio del professor Ricossa potrebbe essere un altro, invece. Non credere che lo strumento azienda possa essere ?not for profit?, ossia che tutto possa muoversi non in funzione di un utile da ridistribuire, ma in funzione dell?obiettivo di avere sempre maggiori risorse sulla base degli utenti serviti, consentendo ad essi di pagare costi accettabili e innalzando la qualità dei servizi erogati. Triste. Proprio quei Paesi culla del più antico liberalismo e liberismo, tanto cari al professor Ricossa, vantano antichissime tradizioni di solidarietà e di assistenza gestite con strumenti economici. A fronte del restringimento dello stato sociale (giusto o sbagliato che sia), per il buon funzionamento dello stesso sistema capitalistico saranno proprio i ?capitalisti di tutto il mondo? ad avere bisogno di qualcosa, come il settore non profit, che crei risposte alle domande di sicurezza sociale: aggredire questo settore sarebbe come segare il ramo su cui il settore è seduto.

Marcello Falasco (docente Economia e Organizzazione d?azienda, Università degli studi di Ancona) e Francesco Baldoni (consulente organizzazioni non profit, Loreto)


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