Famiglia

Ma quella farfalla ha un’aria rapace

Varato il documento che regola l’accesso del Terzo settore alla tv pubblica

di Gabriella Meroni

La Rai ha messo un paio d?ali ed è diventata una farfalla. E non solo nel nuovo logo. La Rai è davvero una farfallona, che svolazza qua e là alla caccia di pubblico ma, leggera com?è, si dimentica di onorare gli impegni che ha come servizio pubblico nei confronti di tutti i cittadini. Impegni sanciti da leggi dello Stato e da un contratto di servizio che giustifica lo sfruttamento delle frequenze nazionali da parte delle sue antenne, e soprattutto il canone che noi tutti paghiamo. Parole pesanti, che alla leggera farfalla di oggi non interessano. Le prove? Almeno tre. La prima sta nell?ultimo regolamento sulle trasmissioni in cui sono previste raccolte fondi e campagne di sensibilizzazione su temi sociali. Un documento nuovo, presentato mercoledì 12 aprile, che da oggi regolerà l?accesso dei soggetti sociali alla tv di Stato. La seconda prova sta nel malcontento che le organizzazioni del Terzo settore nutrono nei confronti della Rai, e che hanno deciso di affidare a ?Vita?. La terza, l?insediamento – con tre anni di ritardo – del Consiglio degli utenti presso l?autorità delle telecomunicazioni, in cui sono stati nominati alcuni personaggi che con con la tutela degli utenti non hanno molto a che vedere. Trasparenza a senso unico Le nuove norme su raccolte fondi e campagne sociali sono state messe a punto da quattro unità Rai – Segretariato sociale, Marketing Strategico, Ufficio legale e Risorse umane – e sostituiscono le precedenti (del 1997). Come il regolamento di prima, quello attuale prevede obblighi di trasparenza per le associazioni che vogliano accedere alle trasmissioni (e fin qui tutto bene) ma non sancisce la stessa trasparenza per la Rai. È questa infatti a decidere chi, come e quando avrà spazio, con criteri non espressi. Praticamente un arbitrio. Altra novità è l?interlocutore delle associazioni, che da oggi diventa il Marketing e non più il Segretariato sociale. Una resa a logiche commerciali anche per informazioni che di commerciale non hanno niente. Gli spot sociali poi non potranno più contenere alcun invito né indicazione per la raccolta fondi. «Una decisione che taglia le gambe a molte campagne», commenta Maurizio Carrara, presidente della ong Cesvi. «In questo modo ad esempio la nostra mobilitazione per la carestia in Nord Corea, con cui abbiamo raccolto 2 miliardi e mezzo, non sarebbe mai nata». «La decisione di affidare questa materia al Marketing mi sconcerta», ammette Giuliano Rossi, della direzione dell?Arci. «È uno dei misteri del centrosinistra pensare di essere più moderno se sta sul mercato. Ora mi chiedo: cosa succederà nella selezione dei soggetti? Se dovessero arrivare 50 richieste di associazioni perfettamente in regola, a chi si darà la precedenza? A chi fa più audience?». Domande legittime cui si unisce Niccolò Contucci di Telethon. «Questo regolamento è stato deciso senza un vero confronto con il Terzo settore», dice. E critiche arrivano perfino da Sodalitas, l?associazione promossa dagli industriali lombardi al servizio del sociale, che la Rai ha consultato (con una telefonata) prima di varare il regolamento. «Qui si chiedono garanzie e trasparenza unilaterali», dice il dottor Alessandro Beda. «La Rai detta legge per gli altri, mentre si arroga una libertà assoluta». La logica dei dieci minuti Il primo decalogo dell?era del marketing arriva in un periodo in cui la Rai sembra blindata a ogni tipo di messaggi, informazioni e cultura di tipo sociale. Sparite dal palinsesto le trasmissioni che davano voce e visibilità al Terzo settore (sono lontani i tempi de ?Il coraggio di vivere?, e persino quelli di ?Ho bisogno di te?), oggi le associazioni sono costrette o al silenzio, o alla riserva dei programmi dell?accesso (come ?Dieci minuti di? in onda la mattina dalle 10 alle 10.10) o all?elemosina degli autori di programmi di vasto ascolto. «Abbiamo bussato tante volte a mamma Rai e siamo stati trattati come se chiedessimo pubblicità gratis» fa sapere don Elvio Damoli, direttore della Caritas Italiana. «La nostra però non è pubblicità ma informazione e formazione, e i nostri non sono interessi privati ma pubblici. E quando otteniamo un po? di spazio, la volta successiva ci fanno aspettare, come se ci avessero fatto una concessione». «Dovrebbe essere la Rai a cercarci, e non il contrario», dice con un paradosso Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. «Il servizio pubblico infatti avrebbe interesse a mostrare la realtà della società e i suoi progetti. E invece siamo qui a pregare. È una condizione di sudditanza inaccettabile. Che non ha paragoni in altri Paesi». Delusione anche per la costituzione, con tre anni di ritardo, del Consiglio degli utenti presso l?Authority per le telecomunicazioni. Lunedì 10 aprile c?è stato l?insediamento di quest?organo che dovrebbe «salvaguardare la dignità umana, il pluralismo, l?obiettività, la completezza e imparzialità dell?informazione e della comunicazione». Peccato che tra i suoi 10 membri, oltre al presidente Ettore Gallo, ci siano esponenti di organizzazioni, come Codacons e Confconsumatori, che non fanno nemmeno parte del Consiglio per la tutela dei consumatori al ministero dell?Industria. Non è stato invitato poi nessun rappresentante del Forum del Terzo settore, che pure la Rai considerava interlocutore privilegiato ai tempi dell?impegno. Ma allora la farfalla non aveva ancora messo le ali.


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