Cari amici di Vita, leggere il vostro "
Il futuro del fundraising dopo i secchi" mi ha suscitato qualche riflessione che vorrei condividere. Il successo dell'Icebucketchallnge è straordinario e tutti coloro che operano nel terzosettore, nonprofit, sociale… chiamiamolo come vogliamo, ne devono essere contenti. Perché aver trovato un modo per raccogliere un numero così grande di risorse è oggettivamente molto positivo.
Però, a mio parere, se l'Icebucketchallenge dovesse diventare un modello, sarebbe un problema. Lo ripeto ancora, questa campagna è stata molto positiva, però ha avuto un limite importante: i leader politici se la sono cavata troppo facilmente. Certo che avrei voluto vedere un video con il capo del nostro governo, ma in quelle immagini avrei voluto non solo vederlo giocare con un secchio d'acqua ma anche sentirlo parlare di fondi per l'assistenza, di impulso alla ricerca scientifica, di sostegno reale e continuativo – fornito dallo stato – a chi s'impegna contro questa e altra malattia.
Perché se da un lato abbiamo bisogno di trovare soldi per finanziare le nostre attività, dall'altro non possiamo dimenticarci che il lavoro che facciamo noi è sempre un lavoro politico, anche quando si tratta di combattere contro una malattia. Quando raccogliamo fondi a favore dei rifugiati che scappano dalle guerre facciamo una cosa sacrosanta, perché ci sono bambini, donne e uomini che hanno esigenze immediate e fondamentali. Ma se ci dimentichiamo cos'è che ha generato la guerra da cui scappano – come il commercio delle armi, o politiche ciniche che trascurano il rispetto dei diritti umani – commettamo un errore grave e non riusciamo ad andare alla radice del problema.
In altre parole, è possibile che il fundraising non sarà più lo stesso, dopo le docce gelate. Ma oggi più che mai mi pare evidente che un fundrasing senza campaigning non possa andare molto lontano.
Daniele Scaglione è direttore scientifico dell'associazione Certosa1515
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