Welfare
Ma quale conciliazione? Al nido c’è posto solo per 24 bambini su 100
L'Europa già dal 2002 aveva indicato la copertura del 33% come soglia minima per consentire reali opportunità di conciliazione tra lavoro e famiglia e per favorire l'occupazione femminile. Avremmo dovuto raggiungerlo entro il 2010. Invece siamo ancora fermi al 24%. Ultima la Campania, al 7,6%. Il 48% dei posti sono in nidi privati, 220 gli asili nido aziendali
di Redazione
Quanti bambini possono andare all’asilo nido? 24 su 100. È questa la copertura a cui siamo arrivati nell’anno scolastico 2016/17, documentata dall’Istat. Già nel 2002 il Consiglio europeo di Barcellona aveva indicato per gli Stati membri l’obiettivo di avere tanti posti disponibili nei servizi per la prima infanzia per coprire almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33% dei bambini sotto i 3 anni, per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Al 33% avremmo dovuto arrivarci entro il 2010: anni dopo ne siamo ancora ben lontani. In diverse regioni del Centro-Nord (Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna, Toscana e Provincia Autonoma di Trento) in realtà tale parametro è stato ampiamente superato già da diversi anni e anche nelle altre la copertura è prossima al 30%, ma nel Mezzogiorno l’obiettivo risulta ancora molto lontano. In Abruzzo, Molise e Sardegna la copertura supera il 20% ma nessuna delle altre regioni raggiunge il 15%. La diffusione dei servizi risulta molto eterogenea sul territorio: si va da un minimo del 7,6% dei potenziali utenti in Campania a un massimo del 44,7% in Valle D’Aosta. La dotazione di servizi sul territorio penalizza i comuni più piccoli rispetto ai capoluoghi di provincia.
Sono stati censiti sul territorio nazionale 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia, con circa 354mila posti, pubblici in poco più della metà dei casi (il 48% sono privati), con due situazioni estreme: in Calabria il 72% dei nidi e dei servizi integrativi sono privati, nella Provincia Autonoma di Trento il 73% sono pubblici. Negli 11.017 asili nido rilevati in Italia sono compresi poco più di 2mila “sezioni primavera” per i bambini da 2 a 3 anni e circa 220 nidi aziendali. Nell’ambito dei 2.130 servizi integrativi per la prima infanzia, invece, quasi la metà sono definiti come “spazi gioco”, oltre 800 sono “servizi in contesto domiciliare”, ovvero gestiti presso un’abitazione, mentre 280 sono del tipo “centri bambini e genitori” dove è prevista la permanenza di un adulto di riferimento insieme al bambino.
Tra il 2004 e il 2012 i comuni, titolari dell’offerta pubblica sul territorio, avevano molto investito sui servizi per la prima infanzia, con risorse passate da 1,1 a 1,6 miliardi di euro (+47%). Poi è iniziato il calo di risorse, con una contrazione della spesa. Nel 2016 la spesa impegnata complessivamente dai comuni per i servizi rivolti alla prima infanzia è stata di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro, stabile rispetto al 2015, con il 19,4% della spesa sostanzialmente rimborsata dalle famiglie sotto forma di rette. La quota a carico degli utenti è passata dal 17% del totale della spesa nel 2004 al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19%. La spesa media dei comuni a livello regionale varia da un minimo di 88 euro l’anno per un bambino residente in Calabria a un massimo di 2.209 euro l’anno nella Provincia Autonoma di Trento. Il numero di bambini iscritti è in calo a partire dall’anno scolastico 2011/2012: nell’ano scolastico 2016/2017 i bambini che hanno usufruito dell’assistenza offerta dai comuni sono 190.984, per la maggior parte accolti all’interno dei nidi comunali.
Nel corso degli anni sono diminuiti gli utenti dei nidi comunali a gestione diretta, ovvero con personale del Comune, e aumentate le gestioni appaltate ad associazioni e a enti privati. Nell’anno scolastico 2016/2017 negli asili nido a gestione diretta sono iscritti circa 93.200 bambini, contro gli oltre 99.700 di 4 anni prima; gli utenti dei nidi appaltati a gestori privati sono aumentati di quasi 3mila unità. Passando dalla gestione diretta a quella indiretta il Comune risparmia: nel primo caso spende mediamente 8.798 euro per utente, al netto della quota rimborsata dalle famiglie, nel secondo caso la quota a carico del comune è di 4.840 euro in un anno. Avvalersi di strutture private, in cui viene messo a disposizione dell’ente pubblico un determinato numero di posti in virtù del rapporto di convenzionamento (circa 24mila bambini ogni anno vanno in servizi con questa modalità di gestione) porta i costi per i comuni in media a 3.131 euro l’anno per bambino. In alcuni casi, infine, i comuni si limitano a offrire contributi alle famiglie che iscrivono i propri bambini nei servizi pubblici o privati disponibili sul territorio: nell’anno scolastico 2016/2017 i contributi hanno interessato circa 12.800 bambini, con un importo medio per utente di 1.627 euro.
Nel 2017, con il Decreto legislativo n. 65 (uno dei decreti collegati alla Buona Scuola), i servizi educativi per l'infanzia sono stati tolti al comparto assistenziale e inseriti nella sfera dei servizi educativi, riconoscendo ciò che la letteratura scientifica afferma da tempo, cioè l’importanza di una solida proposta educativa nei primissimi anni di vita soprattutto in funzione di ridurre il gap della disparità di chances a cui i bambini hanno accesso grazie alla sola componente famigliare. L’obiettivo? Un unico percorso educativo e scolastico, dalla nascita fino ai sei anni di età. Il “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni”, in realtà non ha ancora gambe né una cabina di regia.
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