Famiglia

Ma oggi c’è troppa confusione

di Redazione

«C’è troppa confusione. Per un vero rilancio del servizio civile bisogna fare chiarezza su molti punti controversi». La denuncia arriva da Emanuele Rossi, professore di Diritto amministrativo all’Università di Pisa e referente del Cissc – Centro interuniversitario di studi sul servizio civile.
Perché parla di “confusione” del servizio civile nazionale?
Per almeno due aspetti fondamentali. Il primo è che, in particolare dall’esterno, il servizio civile è assimilato al volontariato, nel senso che non è visto come un investimento forte che il giovane fa per un anno intero della sua vita. Il termine stesso “volontario”, spesso usato dai bandi dell’Unsc, dagli enti e dai media, inganna, in quanto comunque i ragazzi ricevono un compenso.
Il secondo aspetto?
Riguarda la finalità complessiva dell’istituzione, che a oggi non è ancora chiara oppure travisata: la legge promuove il servizio civile come strumento di difesa della patria, non come forma di solidarietà giovanile o di formazione socio-lavorativa. Invece oggi nella valutazione dei progetti il fine di difesa non è nemmeno citato.
Quali conseguenze?
Se fosse riconosciuto tale fine, ovvero il difendere la patria non contro i nemici ma nello sviluppo della Repubblica, il servizio civile avrebbe molto più riconoscimento. Chi lo fa crea valore sociale, soprattutto quando ha a che fare con le persone in modo diretto: cosa che accade nella gran parte degli enti del terzo settore, meno negli enti pubblici.


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