Famiglia

Ma non di solo Pil vive l’economia

Non basta più il Prodotto interno lordo per valutare lo sviluppo ma vanno tenuti sotto controllo altri fattori decisivi. Quali?

di Francesco Maggio

La voce rauca, la febbre a 39: non è proprio il giorno migliore per rilasciare un’intervista. E infatti, quando arrivo nel suo studio alla Facoltà di economia dell’Università di Torino, Domenico Siniscalco, ordinario di economia politica, direttore della Fondazione Mattei e membro, tra l’altro, della Reale Accademia delle scienze di Stoccolma, non c’è. Ma a questo dialogo sul tema che lui ha lanciato, quello dei nuovi fondamentali dell’economia, ci tiene moltissimo. E quindi, febbre o non febbre, l’intervista s’ha da fare. Eccola.
Vita:Cosa rappresentano in un sistema economico i fondamentali?
Domenico Siniscalco:L’attività economica oscilla, fluttua, a volte segue degli andamenti alquanto imprevedibili, ma ha delle tendenze di fondo. I fondamentali, sono quelle variabili macroeconomiche che spiegano i trend di medio lungo periodo. Sono le ancore del sistema economico.
Vita:Quali sono queste ancore?
Siniscalco:Fino a pochi anni fa esse erano sostanzialmente il Prodotto interno lordo, il capitale fisico, il livello di occupazione. Ossia delle grandezze piuttosto standard. In seguito, si è capito che tali variabili spiegano molto ma non tutto della crescita. E che un ruolo determinante al riguardo giocano, per esempio, il capitale umano, e cioé la qualità delle persone, la loro salute. Gli assetti istituzionali e legislativi in cui si muovono i cittadini. La presenza o meno di corpi intermedi dello Stato. Così da qualche tempo ci si è messi a ragionare su degli indicatori economici più raffinati, attenti non solo all’aspetto quantitativo delle variabili macroeconomiche ma anche a quello qualitativo.
Vita:Chi sono coloro che stanno provando a riformulare i fondamentali?
Siniscalco:L’attenzione ai fondamentali è patrimonio degli economisti classici, quelli cioé che invece di guardare alle fluttuazioni di Borsa del lunedì o del martedì, si interrogano sulle ragioni di fondo della crescita o del declino dei Paesi. Faccio un esempio. Robert Putnam, docente ad Harvard, ha rilevato che le differenze di crescita che sussistono tra le regioni italiane si spiegano, fondamentalmente, con la presenza diffusa o meno sui singoli territori di organizzazioni non profit. Si tratta di una chiave di lettura che certamente non spiega perché quest’anno il Piemonte va meglio della Lombardia. O viceversa. Ma di sicuro aiuta a comprendere i differenti livelli di benessere che ci sono tra Nord e Sud. Quindi il ragionamento sui fondamentali è necessariamente di lungo periodo.
Vita:Quali sono i settori produttivi più influenzati dai nuovi fondamentali?
Siniscalco:Indubbiamente quelli dei servizi, della new economy, dell’educazione. Molto meno, e lo cito solo a titolo esemplificativo, quello della siderurgia. Resta il fatto che, poiché i sistemi economici evolvono rapidamente, abbandonando vecchie specializzazioni, anche settori per definizione tradizionali risultano influenzati dai nuovi fondamentali.
Vita:Che differenze si registrano in proposito tra Stati Uniti ed Europa?
Siniscalco:Sono due realtà completamente diverse. Gli Stati Uniti sono un Paese molto più ricettivo sul piano delle tecnologie e della mobilità sociale. L’Europa, invece, è molto più attenta agli elementi di solidarietà, di comunità e anche per questo, almeno apparentemente, cresce un po’ più lentamente. La vera questione però è che non di sola crescita è fatto il benessere. Per cui io non so se convenga crescere al 5% ma essere costretti ogni tre anni a cambiare regione, famiglia, lavoro oppure assestarsi al 3% e vivere in un contesto più a misura d’uomo. è importante, ad ogni modo, essere consapevoli del fatto che la realtà europea così attenta alle ragioni della solidarietà e disposta a pagare un prezzo in termini di crescita è frutto di una scelta politica dei cittadini e non dei tecnocrati.
Vita:Che ruolo riveste il non profit in queste dinamiche in corso?
Siniscalco:Il non profit, soprattutto in Europa e in Italia, svolge un ruolo fondamentale. La situazione in cui ci sono da un lato tanti individui atomistici ed egoisti e dall’altro lo Stato senza niente in mezzo è una situazione da libri di testo che però non corrisponde alla realtà. Perché in effetti i cittadini si aggregano sempre in formazioni intermedie e interagiscono tra loro in modo organizzato. Il non profit è fondamentale proprio perché incanala e organizza tutta una serie di pulsioni, interessi, entusiasmi dei cittadini in campi non strettamente di mercato. L’esperienza di tutti i Paesi industrializzati che funzionano mostra che lo sviluppo si gioca proprio tra questi tre poli: Stato, mercato e un ricchissimo Terzo settore che comprende tipologie organizzative tra le più variegate e che operano in ambiti diversissimi. Anche nell’esperienza del G8 sul digital divide è emerso con forza che quando un problema è complesso c’è un solo modo per affrontarlo seriamente: chiamare in causa questi tre soggetti. D’altronde, se si guarda alla Silicon Valley o ad Israele che sono alcuni tra i più grandi incubatori internet del mondo, si scopre come qui operano sempre in un perfetto gioco di squadra le università, le imprese, il mercato dei capitali e, appunto, le organizzazioni non profit. Per far funzionare un Paese ci vuole dunque Stato, mercato e società. E quando dico società, intendo società in forma strutturata.
Vita:La società civile italiana è pronta a raccogliere questa sfida?
Siniscalco:Sì, ma non ancora del tutto. Mi spiego meglio. Gli enti non lucrativi italiani hanno una storia lunga di secoli, risalente alle Misericordie del Cinquecento, che però s’interrompe bruscamente sul finire dell’Ottocento quando, con l’Unità d’Italia, queste organizzazioni vengono nella maggior parte dei casi abolite e assorbite dallo Stato. Poi, dal 1975 al 1992, lo Stato entra in una profonda crisi e non riesce più ad assolvere ai suoi compiti fondamentali. Così, gli enti non profit che nel frattempo si erano atrofizzati, né più né meno come nel caso delle imprese dei Paesi socialisti, vengono chiamate a rispondere a bisogni diffusi. Oggi perciò assistiamo ad un rifiorire del privato sociale che però non è ancora del tutto preparato a soddisfare l’intera domanda di beni e servizi ad esso rivolta. Siamo in una fase in cui c’è più richiesta di Terzo settore di quanto non ci sia ancora organizzazione e struttura.
Vita:L’amministrazione pubblica e il mondo imprenditoriale sono consapevoli dell’importanza del non profit?
Siniscalco:Sì, ma con molta misura. Paradossalmente, se ci si riferisce ai grandi leader politici o d’impresa, questi sono pienamente consapevoli. Appena si scende nella scala al parlamentare “normale” o all’imprenditore “normale”, questa consapevolezza è pressoché inesistente salvo poi assistere a lamentele che non c’è risposta a quei bisogni che il non profit meglio di altri soggetti saprebbe soddisfare. Vivendo a Torino, conosco molto bene la situazione di realtà come il Gruppo Abele di Don Ciotti o il Sermig di Ernesto Olivero. Esse svolgono attività di enorme meritorietà sociale ma sono sostanzialmente lasciate sole rispetto ai contributi della grande industria e dello Stato.
Vita:Lo sviluppo economico è quindi strettamente correlato alla diffusione del Terzo settore?
Siniscalco:Senza alcun dubbio. E non solo in Occidente. Basti pensare all’Europa dell’Est, dove tutta la ricostruzione del tessuto economico e sociale sta avvenendo grazie ad un fortissimo ruolo del non profit. Non è un caso che un finanziere come George Soros, che di primo mestiere non fa certo il benefattore, abbia dato vita a numerose fondazioni per costruire reti civiche tra i cittadini. La macchina dello sviluppo ha bisogno di tre motori per procedere spedita: Stato, mercato e società. Se ne manca uno, comincia ad arrancare e prima o poi è costretta a fermarsi.
I vecchi fondamentali
• Prodotto interno lordo: misura la ricchezza complessivamente prodotta in un anno in un dato Paese;
• Capitale fisico: comprende beni materiali, merci, infrastrutture, mezzi di trasporto;
• Livelli occupazionali: il raffronto riguarda sia le diverse regioni di uno stesso Paese che diversi Paesi.
I nuovi fondamentali
• Capitale umano: disponibilità di “cervelli”, di centri di ricerca e di formazione, di università;
• Assetti istituzionali e legislativi: tipi di ordinamenti giuridici che sovrintendono al funzionamento dello Stato e delle sue articolazioni locali (per esempio, Stato federale, Province autonome, ecc.)
• Presenza di corpi intermedi dello Stato: grado di diffusione sul territorio di organizzazioni senza fine di lucro.

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