Famiglia

Ma mère, un edipo raffazzonato

Recensione del film "Ma Mère" di Christophe Honoré (di Maurizio Regosa).

di Redazione

Fra gli automatismi ricorrenti nelle trasposizioni dalla pagina alla pellicola, c?è quello secondo cui a scrittura densa e difficile debba coincidere uno stile ?riflessivo?, dal ritmo lento, ricco di immagini in qualche modo simboliche ed espressive. Nel caso di Ma mère, tratto da un romanzodi Georges Bataille, a questa considerazione ne va affiancata un?altra, e cioè che occorreva suggerire anche il riferimento (non casuale) a un certo periodo della storia del cinema: quel momento che va dalla seconda metà degli anni Settanta fino (grosso modo) ai primi anni Ottanta. La fase di quelli che potremmo chiamare i ?figli della Nouvelle Vague?, persuasi che il cinema non sia solo avventura ma anche (se non soprattutto) scoperta intellettuale e conoscitiva. E che quindi fare film significhi condurre un coraggioso lavoro di disvelamento, di superamento delle banalità del vivere quotidiano (da qui i numerosi riferimenti a Pier Paolo Pasolini). Mi pare quello che tenta di fare Christophe Honoré con questa pellicola, non riuscita e troppo ambiziosa, che vorrebbe descrivere un?iniziazione amorosa, protagonista un giovane borghese, coprotagonista la sua eccentrica e folle madre (una coraggiosa Isabelle Huppert). Una vicenda (banalmente) edipica dai toni e, come usa oggi, dalle immagini forti, che potrebbe anche essere letta in maniera metaforica non come racconto di un incesto, ma di un incontro simbolico: la conoscenza della vita ?vera? attraverso i suoi meccanismi diciamo fondanti e strutturanti, la scoperta del corpo, del desiderio, delle ?lordure? di una fisicità fraintesa. Temi importanti, non vi è dubbio, ma trattati con troppo scarsa profondità. Quel che non funziona non è tanto legato ad alcune scene francamente spiacevoli (e non ben motivate: da qui essenzialmente la sgradevolezza), quanto la poca consistenza, la corrività: il ragazzo pare vivere un desiderio religioso profondo che viene contrapposto, con schematismo facile, all?ansia erotica; la follia della madre è lucida ma poco convincente (fra amori saffici, incontri a tre, e radicalismo molto anni Settanta). L?insieme è alla fine raffazzonato, alla moda, esteriore: come appunto le citazioni da Pasolini (basta riprendere un deserto per significare il vuoto esistenziale descritto dall?autore di Porcile?). Cosa salverei? Alcuni momenti in cui la dimensione orizzontale del narrato viene per così dire trascesa in una dimensione verticale (attraverso alcuni passaggi di montaggio, attraverso la musica, attraverso dei punti vista almeno in parte originali). Ma pochi momenti di cinema discreto, non salvano un film…

Maurizio Regosa


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA