Cultura

Ma l’infanzia non è una malattia

Mille persone al teatro Carcano e 400 in streaming per il convegno Curare con l'educazione. «Le neuroscienze confermano continuamente le differenze tra cervello infantile e adulto, ma non ne si tiene conto: i bambini che funzionano bene sono quelli che si comportano come gli adulti, gli altri - quelli che fanno i bambini - non vanno bene. Ma cambiare rotta è possibile», ha detto Daniele Novara

di Sara De Carli

Mille persone in sala, 400 in streaming, per parlare di educazione. È stato un successo non scontato quello del Convegno Convegno Nazionale Cpp "Curare con l’educazione" svoltosi sabato 8 aprile a Milano. Un messaggio è risuonato chiaro: l’infanzia e l’adolescenza non sono una malattia. «Le neuroscienze confermano continuamente le differenze tra cervello infantile, adolescente e adulto, ma non ne si tiene conto. La normalità è oggi è l’adultità e la normalità di un bambino è che stia seduto, ascolti, rifletta… I bambini che funzionano bene sono quelli che si comportano come gli adulti, gli altri bambini, quelli che fanno i bambini, non vanno bene. Ma un bambino per definizione corre, non cammina: figuriamoci se sta seduto», ha detto Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP. «È sbagliato equiparare i bambini agli adulti, dire che il giusto è ciò che corrisponde alle aspettative degli adulti e ciò che non corrisponde è patologico. Al contrario i bambini devono essere vivaci, disattenti, pieni di pensiero immaginativo e fantasioso, il bambino normale insomma è un bambino un po’ distratto, che vuole muoversi, alzarsi dal banco. C’è un momento di immaturità, che è un momento di crescita. Fa parte della vita, della plasticità neuronale e questa constatazione ci permette di avere un atteggiamento più positivo verso gli alunni e i figli, meno ansioso. Invece si stanno moltiplicando esponenzialmente le diagnosi di disturbi, un bambino che fa il bambino è immediatamente un malato. Ma nelle famiglie italiane si stanno diffondendo abitudini educative in grado di mettere fuori uso qualsiasi bambino, è da qui che bisogna ripartire».


Daniele Novara ha citato due profezie, di trent’anni fa: Neil Postman nel 1982 disse che "la tv ucciderà infanzia", e che la condivisione della tecnologia avrebbe azzerato il concetto d’infanzia, togliendole specificità. «Oggi infatti i bambini perfetti sono quelli alle prese con un tablet: lì bambini e adulti sono dentro lo stesso mondo, tant’è che qualche adulto per loro usa l’espressione “sono avanti”, ma questo misconosce le specificità del cervello del bambino e della sua evoluzione». La seconda profezia è di Ivan Illich, che nel 1985 introdusse il concetto di "intolleranza terapeutica", cioè di un controllo che si sarebbe verificato attraverso la medicalizzazione: «noi qui ci siamo presi la responsabilità di denunciare una situazione, ma la denuncia non ci basta, non è il nostro stile. Il nostro percorso oggi dare dare ragione di ciò che è successo e di come ne possiamo venire fuori, perché certo che ne possiamo venire fuori, bisogna capire che è possibile cambiare binario, che prima di cercare nei bambini piccoli presunte malattie neuro-emotive e tentare diagnosi sempre più precise, anticipate, definite, occorre avere il buon senso di verificare se la loro educazione è corrispondente all'età e ai bisogni della loro crescita».

La contestazione di Novara al boom di diagnosi non è disfattista, il punto è che la medicalizzazione dei bambini non può essere la sola e prima strada da percorrere: «In questi ultimi trent’anni è sparito il gruppo spontaneo dei bambini, che ha sempre dominato per tutte le generazioni precedenti, per millenni e ora non c’è più e non vale il villaggio turistico in estate». Cambiamenti che impattano. Scompaiono i giochi tradizionali come nascondino o campana, che hanno una valenza terapeutica enorme, il bambino si nasconde e qualcuno lo deve trovare, è un dispositivo potentissimo per l’autostima. E che dire dell’amico immaginario? Negli anni 60 l’aveva il 65% dei bambini, oggi se un bambino parla da solo lo portiamo dal neuropsichiatra. «Non sono queste malattie a danneggiare i bambini ma l’etichetta che li blocca su un binario. Tanti bambini oggi sono in uno stato di confusione educativa: non sono malati, sono confusi. Educare è organizzare un setting educativo, è un’esperienza pratica e operativa: oggi si stanno perdendo le tracce della responsabilità educativa e i bambini rischiano di diventare orfani educativi. Il messaggio che vogliamo dare è che se un bambino ha un problema resta innanzitutto un bambino, può cambiare, può trasformare il suo disturbo o presunto tale in una risorsa».

Da martedí 11 aprile sará possibile rivedere i momenti principali dell'evento.

Foto Daiga Ellaby/Unsplash

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