Formazione

Ma le armi transnazionali sono fuori controllo

Gli accordi produttivi tra nazioni europee sfuggono al controllo del Parlamento. Un buco non da poco: il 50% delle esportazioni italiane è proprio a quella voce

di Redazione

Un fucile a pompa che con un colpo apre una finestra in un muro è o non è un arma da guerra? E le armi di precisione utilizzate dai cecchini? A quanto pare, non lo sono. Infatti la legge 185/90 che richiede una relazione annuale al Parlamento riguarda solo il commercio di armi a «prevalente uso militare»; ma fucili, mitragliette, pistole, sono considerate «a uso civile» e non rientrano nei meccanismi di della legge che prevede anche la possibilità (mai accaduta) di un intervento parlamentare. Per rintracciare questo tipo di esportazioni bisogna immergersi nei dati Istat sul commercio estero, caratterizzati da una serie infinita di codici di produzione tra i quali riconoscere quelli dei «prodotti da sparo» e relativi componenti. Possiamo quindi dire che il successo commerciale italiano più eclatante non è la pizza ma la pistola Beretta FS92 che viene impugnata ovunque nel mondo. Dagli ultimi dati disponibili, relativi al 1998, sappiamo che l’Italia ha esportato circa 600 miliardi di armi leggere. Clienti d’oro sono gli Stati Uniti, ma anche i corpi di polizia di altri stati (tra cui Perù, Filippine e Colombia) fino alle milizie private dei magnati russi. Altro commercio che resta fuori dai capitoli della relazione annuale sono le cosiddette coproduzioni europee, cioè i programmi di realizzazione di armamenti che coinvolgono più partner europei. Tra questi i più importanti come l’Eurofighter e quello dell’elicottero NH90 sono stati esclusi dalla relazione. Una lacuna importante, se si pensa che le coproduzioni in ambito europeo coprono circa il 50% delle esportazioni italiane. Inoltre nel mercato delle armi non si vendono solo prodotti finiti o pezzi di ricambio: molto richieste sono anche le licenze di fabbricazione. Racconta Emilio Emmolo, ricercatore di Amnesty International, anticipando i contenuti di un rapporto sulle armi leggere di prossima pubblicazione: «All’inizio di quest’anno l’azienda tedesca Fritz Werner ha vinto l’appalto per la costruzione di uno stabilimento in Turchia per produrre fucili d’assalto. L’affare ha coinvolto un’azienda francese, la Manurhin, la belga New Lachaussee e un’azienda italiana non identificata da cui sarebbe stato acquistato uno dei brevetti per la produzione della munizioni». Secondo Amnesty il mercato rischia di diventare meno trasparente con la costruzione di un «mercato comune europeo degli armamenti», sostenuto da tutti i governi. A questo scopo è in via di ratifica anche in Italia l’Accordo quadro, stretto lo scorso 26 luglio dai ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Regno unito, Spagna e Svezia, per favorire l’integrazione dei rispettivi mercati della difesa, a cui si aggiunge la costituzione dell’Occar, un organismo voluto da Italia, Francia, Germania e Regno unito e che rappresenta l’embrione di una futura agenzia europea degli armamenti. «Il rischio è che con questo tipo di accordi transnazionali si scavalchi la possibilità di controllo contenuta nella nostra legge, che è tra le più evolute in materia», avverte Marida Villa, responsabile del coordinamento sulle armi di Amnesty. «Inoltre all’Occar è stata data personalità giuridica: potrà cioè siglare accordi e contratti senza passare mai per alcuna commissione parlamentare».


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