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Ma la via della borsa non convince gli italiani

La strategia di Greenpeace non entusiasma

di Redazione

Ma che razza di attivista è uno che abbandona prima linea e maschera anti gas per sedere, capello corto e cravatta d?ordinanza, tra gli azionisti del suo peggior nemico?
Uno coraggioso. Su questo, mentre a Washington l?esercito antiglobalizzazione procede a fatica tra spray orticanti e manganellate per riformare il Fondo Monetario Internazionale, il Terzo settore italiano non ha dubbi. Già, perché anche se a casa torni contuso e pieno di lividi, sai chi sono i buoni e chi i cattivi. Ma quando ci sono di mezzo azioni e indici di borsa chi può dirlo? Fino a che punto il fine giustifica i mezzi?

Qualche perplessità
«Difficile dirlo», risponde Tiziano Brughitta di Italia Nostra, perplesso sull?efficacia di un attivismo che combatte le grandi multinazionali inquinanti diventandone azionista per proporre risoluzioni che cambino orientamento e impatto sulla società. «Comprando azioni di una multinazionale che inquina, anche per indirizzarla verso uno sviluppo che rispetti la società e l?ambiente, si rischia comunque di aumentarne il patrimonio e di arricchirsi», spiega, «questo tipo di attivismo ha senso solo se è un gesto simbolico». Un modo per far sentire la propria voce, insomma.
Lo sa bene Legambiente, che ha iniziato a sperimentarlo molto tempo fa con il progetto ?azionisti ecologisti?: una campagna lanciata agli inizi degli Novanta per forzare la riconversione ecologica di grandi aziende come Montedison, Enichem e Fiat di cui l?associazione acquistava pacchetti simbolici di azioni.
«Scopo principale era soprattutto dialogare con i piccoli azionisti spesso tenuti fuori dalle decisioni importanti, una strategia che ha dato buoni risultati: nel 1991, per esempio, grazie al nostro intervento nel consiglio di amministrazione, la Fiat si è impegnata ad aumentare i suoi investimenti nella qualità dei prodotti e nella tutela della salute dei suoi lavoratori», racconta Roberto della Seta. Fiero di quanto Legambiente ha fatto fino ad oggi e ansioso di vedere finalmente decollare anche in Italia il shareholder activism: «Purtroppo qui siamo appena agli inizi e la nostra finanza etica è troppo debole per promuovere vere cordate di azionisti, ma sono ottimista: usando bene la new economy, noi possiamo farcela». Ma davvero gli ambientalisti nostrani sono pronti a giocare in borsa e a ?scalare? grandi multinazionali pur di salvare l?ecosistema?

Con la new economy si può
«Certo. I buoni risultati degli attivisti americani dipendono dal fatto che, da loro, l?azionariato diffuso funziona bene», precisa Della Seta, «e i titoli tecnologici sono ciò che da noi si presta di più ad essere comprato da un azionariato diffuso come quello non profit». Gli fa eco Giovanni Stiz del Wwf: «L?esperienza di Greenpeace è interessante, ma bisogna andare oltre. Se appoggiate da fondi etici un po? più coraggiosi e capaci di orientare i risparmi del non profit su alcune aziende, le associazioni potrebbero essere un ottimo punto di raccolta deleghe. Il primo passo per un?azione vera e non solo simbolica».
Che, tuttavia, lascia perplesso Giovanni Acquati, fondatore e presidente di Mag2: «Giocare e investire in azioni ormai è diventato un tormentone che attrae con facili guadagni anche chi di indici non sa niente. Il risultato è che il rischio sociale aumenta sempre di più ed è sempre più in mano ai cittadini. Ciò non toglie che quello di Greenpeace sia un gran colpo, una operazione cui ispirarsi consci che, in ogni caso, si porta liquidità ad una azienda già quotata in borsa invece che a società rispettose dei diritti umani e dell?ambiente che ne hanno bisogno per nascere.
Dipende che tipo di finanza etica si vuole fare». Quella sicura e più tradizionale del microcredito o quella delle azionisti non profit americani? «La seconda, ma con azioni più incise di semplici risoluzioni presentate agli azionisti». Tutti convinti?
«Non proprio», risponde il direttore generale della Lipu Armando Gariboldi che spiega le sue perplessità: «Cosa si fa delle azioni una volta ottenuti i propri scopi? Sia che si rivendano, sia che si tengano, alle multinazionali si fornisce liquidità».

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