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Ma la comunità è davvero diversa dall’istituto?

La riforma della disciplina sulle adozioni, intervenuta nel 2001 con la legge 149, ha posto il termine del 31 dicembre 2006 per la definitiva chiusura degli istituti per minori.

di Redazione

Si parla dell?imminente chiusura degli orfanotrofi, il prossimo 31 dicembre, come di un traguardo di civiltà per il nostro paese. A questo punto però mi domando, visto che la situazione degli affidi non è così rosea, che natura avranno le nuove ?comunità? che ospiteranno questi bambini. E, soprattutto, quanto saranno differenti dagli istituti. Piero, Milano La legge 149 del 2001 ha fissato entro il 31 dicembre di quest?anno la definitiva chiusura degli istituti per minori. A chi ha memoria dei fatti del sociale verrà certamente in mente la chiusura delle case manicomiali che la legge Basaglia ha decretato in tempi passati. È perciò un anno gravido di significati storici e anche di significati che daranno un senso diverso all?accoglienza dei bambini da tutelare. La legge in questione fissa alcune regole per la tutela di quel minore che ha una famiglia fragile al punto da doverne essere allontanato. Tra queste la preminenza è data all?affido familiare, e vengono anche permesse forme di tutela chiamate ?comunità familiari?. La legge non si sofferma nel definire cosa siano, rimandando ad altri luoghi la definizione. In questo contesto, cercheremo di assumere un senso per l?accoglienza comunitaria. Il passaggio dall?istituto alla comunità familiare è molto delicato e, a ragione, alcuni lo criticano quando è realizzato nella forma della «divisione di un grande spazio in piccole unità residenziali». Per intenderci: se dalla grande camerata si passasse alle piccole unità abitative chiamandole ?comunità?, allora avremmo la trasformazione ?fisica? dell?istituto a comunità, non quella di senso. Per recuperare il significato positivo dell?accoglienza comunitaria dobbiamo fare un salto di qualità, dobbiamo dire che la comunità per minori deve avere caratteri differenti dall?istituto e assumere il valore comunitario come valore aggiunto dell?accoglienza. Se l?istituto era l??hortus conclusus? in cui la vita del minore era compiuta, la comunità deve essere il luogo dell?integrazione col territorio. Se l?istituto rappresentava un luogo senza tempo per il minore, la comunità deve assumere la funzione dell?accoglienza temporalmente definita. Se l?istituto era il luogo della spersonalizzazione, la comunità deve essere il luogo della progettualità personalizzata per eccellenza. Se l?istituto era il luogo della genericità degli interventi, la comunità deve essere il luogo della specializzazione, solo così hanno senso le comunità variamente denominate: mamma/bambino, per abusi sessuali, di tipo educativo, con taglio psicologico e così via. Se il bambino che entrava nell?istituto non aveva una prospettiva di sviluppo definita a priori, la comunità deve essere il luogo dove quando si entra si ha già in mente che si deve uscire e dove c?è qualcuno che si preoccupa proprio di questo. Fabio Gerosa, presidente Coordinamento comasco per l?accoglienza ai minori

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