Salute
Ma la Casa della Salute non è solo la Casa della Sanità
Le Case della Salute oggi sono supermarket che propongono diverse prestazioni sanitarie. La nostra proposta è quella di identificare nella “Salute” la nuova identità di una comunità. Proponiamo una Casa della Salute dove sono presenti, ma non in esclusiva, i servizi sanitari e i servizi sociali, il volontariato con tutte quelle espressioni sociali che in una comunità costituisce le reti formali e informali di solidarietà
Un gruppo di volontari, appassionati dei temi che riguardano la comunità e la salute, ha provato a ragionare come interpretare in maniera autentica ed innovativa il tema della “Casa della Salute” già presente nel nostro ordinamento dal Decreto Ministro della Salute Turco del 10 Luglio 2007. Provvedimento disatteso su gran parte del territorio nazionale, ha trovato applicazione prevalentemente in Regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna, ma anche qui, tranne lodevolissime e limitate sperimentazioni, si sono realizzate delle Case della Sanità chiamandole Case della Salute; in sintesi è stato sostituito il cartello di ingresso del “Poliambulatorio” e, nella migliore delle ipotesi, è stata aggiunta, alla erogazione di prestazioni specialistiche, la presenza dei Medici di Medicina Generale (medicina di gruppo) e, in qualche ancora più rarissimo caso, troviamo qualche parvenza di servizio sociale.
Ora è chiaro che il concetto di salute, così come l’OMS l’ha definito più e più volte, ci dice che dovremmo fare ben altro per chiamare un luogo “Casa della Salute”: occorre cioè fare quel salto di paradigma indispensabile per una vera innovazione in tema di welfare, di benessere personale e collettivo e, in fondo, di esercizio autentico della democrazia.
In tutti i proclami di riforma della sanità si fa espresso richiamo ai principi definiti dall’OMS in tema di salute ma poi, quando si arriva a concretizzare gli interventi, si ragiona solo in termini di “produzione” di prestazioni sanitarie e la stessa organizzazione delle Case della Salute attuali è imperniata sull’efficientamento del sistema (ahi, le liste d’attesa che tentazione elettorale…) in una logica da supermercato nel quale vengono offerte risposte a domande non sempre appropriate. Addirittura abbiamo la configurazione, prevista da qualche atto programmatorio, delle Case della Salute in piccole (minimarket), medie (supermercato) e grandi (ipermercato) a seconda della quantità e della tipologia di prestazioni sanitarie erogate. Non si vuole qui sminuire, in ogni caso, il miglioramento organizzativo e anche qualitativo che questo modello ha realizzato, ma non basta.
Per inciso, anche nei recentissimi provvedimenti governativi, come si fa a inventarsi l’infermiere di “quartiere” dando così il significato di un operatore che deve fornire prestazioni ad un’area geografica, mentre sono mesi che proponiamo l’infermiere “di famiglia/di comunità” che dà chiaramente l’idea di un operatore in relazione con la sua comunità e con le persone che ne fanno parte (anche le parole contano)
Per fare quel benedetto salto di paradigma dobbiamo partire da alcuni punti fermi che necessitano di essere d’accordo su specifici termini:
· Persona: La persona concepita come unicum, irripetibile con la quale i professionisti entrano in relazione partendo dal chi è e non dal che cosa ha, che rimane titolare del proprio progetto di salute.
· Salute: intesa come condizione dinamica, progetto perseguito, creato e vissuto dalle persone negli ambienti in cui vivono la vita di tutti i giorni; dove imparano, lavorano, giocano e amano” (OMS – Octawa 1986).
· Comunità: Salute “è” la comunità, l’insieme delle relazioni di reciprocità che in essa instauriamo e che ci “rassicurano” perché “… in una comunità aiutarci reciprocamente è un nostro puro e semplice dovere, così come è un nostro puro e semplice diritto aspettarci che l’aiuto richiesto non mancherà” (Bauman)
Ecco che allora l’idea è quella di identificare nella “Salute” la nuova identità di una comunità che, al giorno d’oggi, non si riconosce più nelle stesse tradizioni, la stessa storia, la stessa religione, ma come ci ha insegnato la presente pandemia, ha dimostrato di ritrovarsi sul fatto di stare bene insieme e che questo risultato è possibile se stiamo bene tutti (perché la salute è un bene comune non monetizzabile né tantomeno ragione di profitto), a partire dai più fragili perché se stanno bene gli ultimi allora sì che stiamo veramente bene tutti.
Insomma proponiamo una Casa della Salute dove sono presenti, ma non in esclusiva, i servizi sanitari e i servizi sociali, il volontariato con tutte quelle espressioni sociali che in una comunità costituisce le reti formali e informali di solidarietà, che è in stretta relazione con tutte le agenzie sul territorio quali potenziali apportatrici di salute (l’ente locale, la scuola, il mondo del lavoro, la cultura, l’ambiente): è con loro che, nella Casa della Salute/Casa della Comunità, la comunità stessa elabora il proprio progetto di salute costruito a partire dai bisogni reali e dai rischi più evidenti che ne minano la convivenza. Qui convergono e vengono messe a sistema tutte le risorse sia economiche (unificando i fondi del sociale e del sanitario) che umane, materiali, di tempo a partire da quelle del volontariato e delle reti di solidarietà presenti sul territorio, tutte orientate ad obiettivi comuni condivisi.
Questa apertura alla partecipazione della comunità – che possa ritornare ad essere luogo delle decisioni sulla propria salute – è la migliore cura possibile per guarire il pericoloso scollamento in essere tra cittadini ed istituzioni.
Infine, per dare dimostrazione scientifica che “si può fare”, abbiamo avviato un percorso di ricerca, con Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Bocconi di Milano, alla quale partecipano una trentina di realtà sul territorio nazionale che sperimentano alcune pratiche per una diversa “Casa della Salute” dalle quali ci aspettiamo, nel doveroso percorso di valutazione, miglioramenti sia nell’utilizzo più appropriato dei servizi socio-sanitari, sia nella sostenibilità dei costi del sistema sanitario, ma anche non ultimo, negli indicatori legati alla coesione sociale.
Movimento “Prima la Comunità”
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