Sostenibilità

Ma il brand non è in crisiSiamo l’antidotoal mercato selvaggio

La parola alle grandi marche

di Redazione

La crisi dei consumi non poteva non influire sul rapporto tra italiani e prodotti di marca. Un rapporto ancora solido per Silvio Paschi, responsabile Politiche del consumatore e relazioni esterne di Centromarca. Secondo cui se «è vero che sul piano della quantità i dati mostrano un’accentuazione di alcuni effetti congiunturali e l’erosione del potere di acquisto aumenta la sensibilità al prezzo da parte del consumatore», la ricerca dimostra anche che rimane costante «un apprezzamento straordinario per la marca e i suoi valori».
Consumers’ Magazine: In che senso?Silvio Paschi: Questi prodotti forniscono “prestazioni” che vanno oltre gli attributi funzionali e soddisfano i desideri di ciascun individuo, portandolo all’autorealizzazione, all’espansione del sé, alla gratificazione soggettiva. Per questo le persone li premiano a livelli davvero unici nel panorama europeo.CM: Ritiene che questi siano motivi sufficienti per continuare a sceglierli?Paschi: A questa domanda mi piace rispondere con le parole di Ernesto Illy, il nostro presidente scomparso di recente. In un articolo del 1998 per la rivista Consumatori, consumi e mercati scriveva che in un mercato che sia guidato esclusivamente dalla massimizzazione del profitto, la posizione delle mega-aziende può divenire dominante. Al contrario, in un libero mercato guidato dal consumatore e in cui la soddisfazione di quest’ultimo sia un parametro costantemente tenuto sotto controllo e serva da base per le decisioni imprenditoriali, è possibile la co-evoluzione. In esso, gli imprenditori hanno lo stesso ruolo che ha la natura nel proporre le sue novità “genetiche”, i consumatori quello delle forze che, “darwinianamente”, esercitano la critica. Anche la marca nel mercato appartiene a un ambiente in cui l’evoluzione è la regola del gioco. Possiamo immaginare un mercato in cui il giocatore più forte elimina tutti i concorrenti: i risultati saranno un consumatore ostaggio del fornitore monopolista, l’autentico sviluppo bloccato, il passato come punto esclusivo di riferimento. Ma la marca è assolutamente il contrario di questa vocazione predatoria. È vissuta e ha prosperato perché ha avuto come proprio punto di riferimento il futuro, perché si è collocata su una scena in cui l’interazione con gli altri attori, in primo luogo il consumatore, ha reso possibile la co-evoluzione.CM: In questo nuovo scenario, quindi, come si sta evolvendo il settore?Paschi: La marca, in senso stretto, non può essere considerata un settore, ma piuttosto una forma mentis che accomuna aziende operanti in settori e segmenti anche molto diversi. Da questo punto di vista non si può quindi fare un discorso generalizzato, perché i singoli settori merceologici hanno modi e tempi di reazione diversi, legati a una serie di fattori anche molto disparati e spesso fuori dal controllo delle aziende stesse. Ciò detto, le aziende di marca che più strettamente aderiscono alla forma mentis che costituisce la piattaforma che accomuna i nostri associati, si stanno certamente dimostrando particolarmente sensibili ad uniformare i propri comportamenti e le proprie strategie a quanto emerge dalla ricerca di Fabris. Innovazione, comunicazione, risonanza con le persone e i consumatori sono tra le parole chiave che ispirano questi comportamenti.CM: Come vede il futuro dei consumi in Italia?Paschi: Per assicurare una crescita dei consumi nel tempo, occorre ridare attrattività all’offerta dei beni di consumo, oggi insidiati da offerte alternative che appaiono più coerenti alle esigenze qualitative di soddisfazione individuale di cui parlavo prima. È una priorità per il settore, per le imprese industriali e anche per quelle distributive. In questo contesto, le osservazioni di Ernesto Illy sono profondamente pertinenti: se il processo di co-evoluzione all’interno del mercato italiano riprenderà e verrà favorito con tutti i mezzi possibili, allora sarà agevolata anche una ripresa dei consumi.


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