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Ma i tribunali sono ladri di bambini?
Istituzioni e assistenti sociali, nella bufera per presunti allontanamenti facili, si difendono. Diversa lopinione degli avvocati di famiglia
Troppi bambini tolti ai genitori. Troppe storie di ordinaria ingiustizia al tribunale di Milano dove genitori accusati di maltrattamenti o abusi, e successivamente assolti, si sono visti allontanare per sempre i loro figli, ormai entrati nel circuito dell?adozione. La notizia è rimbalzata, a metà agosto, dalle pagine del Corriere della Sera fino alle più alte sfere del ministero della Giustizia, che ora promette indagini. Ma il dramma di decine di genitori che hanno fatto segnalazioni ed esposti ai giudici per raccontare la loro odissea giudiziaria, mette in luce aspetti a dir poco inquietanti del sistema dei servizi sociali italiani e dei meccanismi attraverso i quali i giudici dispongono della vita dei minori.
«In genere, queste situazioni coinvolgono famiglie in grave stato di disagio economico e psicologico», racconta Lucrezia Mollica, avvocato civilista che da vent?anni si occupa di diritto di famiglia. «I nuclei più abbienti hanno moltissimi strumenti di difesa, dal collegio in Svizzera fino allo psicologo privato. Tutti gli altri entrano in contatto con i servizi sociali, che rivestono un doppio ruolo: da un lato forniscono un appoggio e un sostegno, dall?altro possono esprimere un controllo e giungere alla denuncia. In altre parole, la stessa persona con cui si confidano finisce per contribuire all?allontanamento del minore».
Gli esempi di situazioni drammatiche e di famiglie spezzate non mancano: «Recentemente, in una causa di separazione, l?assistente sociale ha suggerito l?allontanamento di una bambina dalla madre e il collocamento presso il padre ?con eventuale uso della forza?», racconta Mollica. «Infatti la piccola è stata prelevata a forza dalla casa della mamma da una pattuglia dei carabinieri. Successivamente, abbiamo scoperto che quell?assistente sociale non era nemmeno più iscritta all?Ordine. Anni fa ho seguito il caso di una coppia in stato di grave disagio economico, che si era rivolta di propria iniziativa ai servizi sociali. Il loro bambino è stato messo in istituto e loro andavano a trovarlo ogni giorno. In seguito, il Tribunale ha decretato lo stato di adottabilità del piccolo. I genitori si sono opposti disperatamente, sono arrivati due volte in Cassazione, ma non ce l?hanno fatta. Il padre è morto durante le fasi del processo, nel giorno del compleanno del figlio. Il bambino, intanto, ha cambiato due famiglie e oggi ha diciassette anni. La mamma spera ancora che lui decida di cercarla».
Ma loro, gli assistenti sociali, proprio non ci stanno a fare la parte dei ?cattivi?: «Vorrei ricordare che su dieci casi difficili, otto vengono seguiti senza bisogno di un intervento da parte dell?autorità giudiziaria. Prima che un?assistente sociale effettui una segnalazione, ha tentato un percorso con la famiglia, coinvolgendo anche il contesto scolastico, i parenti e il vicinato», spiega Renata Ghisalberti, presidente dell?Ordine lombardo degli assistenti sociali. «Vengono sempre fuori i casi estremi, sui quali l?assistente che ha seguito il caso non può esprimere le sue ragioni perché è vincolato dal segreto professionale. E spesso si dimentica che non siamo noi a stabilire l?allontanamento, ma è il tribunale. In questi ultimi tempi siamo stati accusati di vedere l?abuso dove non c?è, ma ricordiamoci che può anche essere vero il contrario, e cioè che la comunità non vuole vedere l?abuso o il maltrattamento dove c?è davvero. La famiglia, purtroppo, non è sempre solo il luogo dei legami e dell?affetto, ma anche delle patologie».
«A parte i casi in cui gli abusi sono reali e incontestabili, il problema è che la famiglia d?origine, nel suo stato di disagio psicologico e sociale, è sempre l?ultima a essere sostenuta», ribatte Lucrezia Mollica. «E noi avvocati ci troviamo a combattere contro i mulini a vento dell?inefficienza, delle lungaggini dei Tribunali, del continuo turn over di assistenti sociali. Il risultato? Il tempo passa e i bambini restano lontani da casa per mesi, o peggio, anni, e il Tribunale di Milano tende a facilitare la rottura dei rapporti con la famiglia d?origine, anche in ragione di una protezione prevalente delle famiglie affidatarie».
Un problema, quello della debolezza delle famiglie indigenti, che potrebbe essere ribaltato dalla recente legge di riforma dell?adozione e affido, che ha imposto la necessità dell?assistenza legale per il minore e per i genitori nel procedimento di adottabilità e in tutti i procedimenti che incidono sulla potestà genitoriale. «È un grande salto di qualità», dice Mollica, «che fissa la necessità di un contradditorio e del giusto processo anche per i minori. L?Aiaf – Associazione italiana avvocati di famiglia si sta ponendo il problema di formare una competenza nel settore, anche in previsione del fatto che questi avvocati faranno parte di determinati albi». Allora, viene da chiedersi, dove si trova l?anello debole di questo sistema che in certi casi si dimostra miope e aberrante? «Per quanto riguarda gli assistenti sociali, bisogna smettere di considerarli come agenti solitari», dice Ghisalberti. «È fondamentale attivare una rete di comunità per aiutare una famiglia ad assumersi le proprie responsabilità. E i servizi sociali, oberati dai nuovi disagi, hanno bisogno che si investa su di loro, di formazione e supervisione, di momenti di confronto con colleghi al di fuori del caso, per compiere la scelta più adeguata. Ma più di tutto, hanno bisogno di condividere le responsabilità con gli altri servizi del territorio, il sistema educativo e la comunità. Non si può delegare soltanto a noi la responsabilità di prevenire il disagio delle famiglie».
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