Volontariato

Ma i figli non sono dei loro genitori

L'assessore leghista della Regione Piemonte, Chiara Caucino, l’ha detto con chiarezza rude ma efficace: «I figli sono dei genitori e non dello Stato». Un concetto che è rimasto sottotraccia in tutte le polemiche di questi mesi ma che ci riguarda in realtà tutti perché mostra quanto poco ancora sia passata nella nostra cultura l'idea che un figlio non è possesso né dei genitori né dello Stato, ma solo di se stesso

di Sara De Carli

L’assessore leghista del Piemonte, Chiara Caucino, l’ha detto con chiarezza rude ma efficace: «I figli sono dei genitori e non dello Stato». Uno slogan perfetto, a pensarla come lei. Lo ha detto difendendo il suo disegno di legge regionale, cui ha dato un titolo altrettanto ad effetto: “AllontanamentoZero”, che vorrebbe ridurre del 60% gli allontanamenti di minori nella Regione, tramite un sostegno economico alle famiglie. Come se gli allontanamenti si facessero per le difficoltà economiche in cui i genitori versano (è una menzogna, lo dicono i dati, ma il dato di realtà di questi tempi è meno importante rispetto a ciò che ci piace pensare e che si continua a pensare a dispetto dei dati). Come se qualche euro in più bastasse a risolvere i problemi che alcune famiglie hanno.

Il fatto è che la Caucino con la sua frase a caratteri cubitali ha finalmente portato a galla il nodo culturale che per tutti questi mesi – da Bibbiano in poi ma anche prima – è rimasto velatamente sottotraccia. E cioè il fatto che culturalmente è ancora diffusa l’idea che i figli sono di chi li fa. Quasi come prodotti, appartengano a chi li ha fatti. Che il legame del sangue sia un «sacro vincolo» (sono sempre parole della Caucino, che in pochi istanti ha inanellato una serie incredibile di perle), che l’educazione dei figli sia un tema privato in cui nessuno ha il diritto di metter becco. Come che siano questi genitori in quanto genitori. Indipendentemente da quanto siano in grado di tutelare, promuovere e realizzare i diritti che i loro figli di per sé hanno e che vengono prima del diritto di un adulto ad avere un figlio con sé. È qui che dobbiamo avere il coraggio di andare e di lavorare.

Il bambino è una persona indipendente e in quanto tale è titolare autonomo di diritti. Il punto che ancora non abbiamo agganciato è questo qui. Non è allora solo una questione di allontanamenti, necessari, possibili, evitabili che siano. Il tema riguarda tutte le famiglie e la nostra cultura. Perché il fatto che il bambino sia un soggetto portatore di diritti è in realtà una conquista molto recente e con tutta evidenza non è ancora entrata nella cultura, intesa come quell’humus in cui tutti respiriamo e nuotiamo. Nel 2019 la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha compiuto 30 anni. Tanti? No, pochi. D’altronde, come disse Brigitte Bardot, “When you're thirty you're old enough to know better, but still young enough to go ahead and do it.”

«La Convenzione ha avviato una vera e propria “rivoluzione culturale”, elevando la persona di minore età da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti, determinando una rottura con il passato e gettando solide basi per costruire una “nuova” identità del minorenne, nuovo soggetto di diritto, attivo, partecipe, che va ascoltato, informato e rispettato», ha scritto la Garante Infanzia, Filomena Albano, nell’introduzione al volume che ha fatto il punto sui primi 30 anni di attuazione della Convenzione. «A partire dalla Convenzione, è dunque mutata la relazione che ha connotato la storia nel corso dei secoli tra minorenni e adulti. In Italia, ad esempio, ne costituisce riprova il settore del diritto di famiglia: la “responsabilità genitoriale” è subentrata alla originaria “potestà”, apportando un cambiamento anche terminologico che ha un valore culturale profondo, in termini di abbandono di qualsiasi logica di possesso sulle persone minorenni» (qui il suo commento).

I figli non sono dei genitori, diciamolo con la stessa nettezza con cui l’assessore Caucino ha detto il contrario. Ma non perché siano dello Stato, come lei vorrebbe far credere. Questa contrapposizione binaria non esiste e non porta da nessuna parte. I figli non sono né dei genitori né dello Stato, perché appartengono soltanto a loro stessi. Hannah Arendt diceva che «con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità, di totalmente nuovo, ed è sempre un nuovo inizio». Ciascun genitore impara ogni giorno, concretamente, la verità di questa frase. A volte dolorosa, ma motore di libertà.

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