Questo numero dedicato ad Haiti vuole essere un numero per “capire” e per “agire”. Per capire Haiti, ma non solo. Proviamo a riepilogare alcune emergenze portate in luce dal lavoro fatto da Vita.
La prima cosa da “capire” riguarda non Haiti, ma l’Italia. Nel momento in cui la notizia del terremoto ha fatto breccia sconvolgendo tutti i “palinsesti” dell’informazione, abbiamo scoperto che in quell’isola dei Caraibi, dalla storia così complicata e spesso così drammatica, l’Italia era tutt’altro che assente. Infatti nelle case madri di decine di ong e di associazioni grandi e piccole, l’apprensione è salita ai massimi livelli, perché laggiù c’erano tanti italiani o tanti cooperanti locali impegnati in progetti di solidarietà e di costruzione sociale. Un impegno silenzioso, lontano dai riflettori, frutto di una passione umana e di una dedizione gratuita, che è il miglior indice della civiltà di un popolo. È un patrimonio prezioso, non solo di solidarietà ma anche di competenze e di rapporti: eppure in questi ultimi anni la politica non ha fatto altro che snobbare la nostra cooperazione, con tagli continui ai budget che hanno portato la quota sul Pil a percentuali di cui arrossire. L’informazione della cooperazione s’accorge e si riempie la bocca in queste occasioni. Poi cala il silenzio: che le vere domande con cui martellare Berlusconi e compagni siano queste piuttosto che quelle un po’ pruriginose architettate da Repubblica nei mesi passati?
Il dramma che ha travolto Haiti ha trovato il mondo della cooperazione pronto anche sotto un altro profilo: quello della raccolta fondi per sostenere l’emergenza. Le 12 ong che hanno fatto la scelta di radunarsi sotto un unico marchio, quello efficace di “Agire”, hanno mostrato una notevole capacità di superare le logiche “egoistiche” e di fare sinergia. È un salto di maturità importante, anche nei confronti dell’opinione pubblica, che si trova come interlocutore un soggetto nuovo, affidabile e pluralistico. Per Vita è anche una piccola vittoria, perché grazie alla presenza di “Agire” non si è ripetuto l’errore, che tanto avevamo stigmatizzato, in cui si era caduti con l’emergenza dello tsunami, quando era scesa in campo la Protezione civile a fare raccolta fondi, anche “per conto” delle ong.
Infine c’è da “capire” Haiti. Perché il Paese che ci è stato raccontato sotto l’onda emotiva di questa tragedia è un Paese senza soluzioni. Un Paese “maledetto”. Invece, come ha denunciato uno dei suoi scrittori più famosi, Dany Laferrière, questa è «una parola insultante che sottintende che Haiti ha fatto qualcosa di male e che lo sta pagando». Haiti invece è un Paese che ha affrontato con grandissima dignità la spaventosa scossa che ha messo in ginocchio la sua capitale. Che ha mostrato energia vitale, anche là dove avrebbe potuto esserci solo disperazione. È l’Haiti che ci racconta con passione uno dei suoi giornalisti più famosi, Hegel Goutier. È l’Haiti che ha rialzato la testa il giorno del terremoto, come ha raccontato lo stesso Laferrière: mentre i ricchi se ne stavano rinchiusi nelle case, assediati dalla paura, i poveri per le strade hanno rimesso in moto la vita della città. «L’energia dei più poveri ci ha salvati», ha concluso lo scrittore. Questa è Haiti.
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