Politica

Ma gli immigrati sono la prossima frontiera

SocialJob ha messo attorno a un tavolo Savino Pezzotta e Vincenzo Mannino per un faccia a faccia

di Francesco Agresti

Un ente trilaterale – sindacati, imprese e cooperazione sociale – per favorire l?accoglienza e l?inserimento sociale e lavorativo degli immigrati. Savino Pezzotta affida a SocialJob la proposta di dare vita a un organismo promosso dalle parti sociali per gestire «l?unica risorsa che abbiamo per non andare verso un inesorabile declino economico e sociale». L?occasione è data dall?incontro, ospitato nell?ufficio del segretario della Cisl in via Po a Roma, a cui ha preso parte il segretario generale di Confcooperative, Vincenzo Mannino per parlare di inclusione socio- economica dei più deboli e di welfare. SocialJob: Come giudicate le politiche di inclusione finora adottate? Savino Pezzotta: Credo che uno dei limiti maggiori sia quello di avere affrontato l?inserimento delle persone svantaggiate come una questione individuale, cioè di rapporti tra la persona e l?impresa. La cooperativa, proprio perché è una struttura associativa, è lo strumento ideale per accompagnare la persona. Ma l?accompagnamento non basta: per accogliere una persona è necessario produrre cultura dell?accoglienza. Il movimento sindacale deve ancora fare molto su questo fronte. Vincenzo Mannino: Sono d?accordo con quanto sostiene Pezzotta. Aggiungo che dovremmo sforzarci di introdurre innovazione nelle politiche di inserimento, come dovremo introdurre innovazioni nelle politiche di welfare più in generale. Quella dell?inserimento è una delle leve da utilizzare anche per favorire lo sviluppo economico. Oggi abbiamo il problema di ampliare la partecipazione al lavoro favorendo l?ingresso di tutte quelle persone che vivono in quelle che sono diventate nuove condizioni di svantaggio. SJ: Cosa rende l?attuale sistema di welfare inadeguato? Pezzotta: Non fa i conti con il declino demografico. Tra dieci anni la nostra sarà una società con più persone anziane e più persone non autosufficienti. Questi cambiamenti avranno inevitabili ripercussioni anche sull?andamento economico. Se vogliamo mantenere gli attuali livelli di benessere l?unica misura in grado di produrre effetti nel breve periodo è quella di favorire l?immigrazione. Credo che il sindacato e il sistema imprenditoriale debbano farsi carico del governo dell?immigrazione verso le imprese, promuovendo accoglienza, formazione e riqualificazione. Voglio avanzare una proposta alle altre organizzazioni sindacali e alle associazioni datoriali: costituire un ente che affronti la questione dell?accoglienza e dell?inserimento lavorativo degli immigrati. Altra questione legata al declino demografico è quella delle politiche per la famiglia. Mettere al mondo un figlio non è più solo una scelta individuale ma una questione di sopravvivenza. Bisogna mettere le persone che vogliono dei figli nelle condizioni di poterli fare, non con misure una tantum, ma costruendo una rete di servizi che siano di concreto sostegno. Mannino: Oggi facciamo i conti con due tipi di cambiamento: quelli di natura economica e quelli sociali. Ai primi dedichiamo molte riflessioni, mentre tendiamo a trascurare i secondi. Mettere al mondo un figlio non dipende solo da quanto ho nelle tasche, ma anche dalla fiducia che siamo in grado di avere nel futuro. Prendersi cura degli anziani non vuol dire solo finanziare le spese per le cure di lungo termine ma riflettere sulla domanda di servizi e anche sull?anziano inteso come portatore di offerte. Non possiamo limitarci a immaginare nel futuro delle persone anziane solo campi di bocce. SJ: Quale modello di welfare bisogna costruire? Pezzotta: Occorre partire dalla premessa che le risorse per il welfare sono investimenti e non costi. Non bisogna tagliare ma riorientare le risorse. Penso a un welfare che sappia sviluppare partecipazione e responsabilizzazione, un welfare che non sia statalista ma partecipato, in cui non vi sia un rapporto tra erogatore e utente, perché dall?utente si passa al cliente e da lì scadere nel clientelismo è piuttosto facile. Mannino: Siamo riusciti a scrivere la parola sussidiarietà nella Costituzione ma ci dimentichiamo di applicarla quotidianamente nelle scelte di politica sociale ed economica. Non ha senso pensare a politiche di rilancio dello sviluppo solo con le tradizionali misure di politica economica, occorre muovere le leve della politica sociale, mettere in movimento energie che altrimenti non hanno la possibilità di esprimersi, bisogna ampliare i processi decisionali, raccogliere e far tesoro delle indicazioni che vengono dalle comunità locali. SJ: Come si favorisce questo cambio di prospettive? Pezzotta: Bisogna che le forze sociali si assumano le loro responsabilità, il cambio di prospettive dipende molto da noi. Cediamo spesso al vezzo di chiedere tutto alla politica, dobbiamo chiedere alla politica solo ciò che prima abbiamo sperimentato da noi. Dobbiamo ripartire dai territori che sono luoghi di sviluppo che sanno valorizzare le specificità. Poi serve una politica che faccia pensare in positivo al futuro. Il problema del nostro Paese è che manca un?idea di cosa vogliamo essere tra 10-15 anni, i programmi elettorali sono delle declamazioni e non degli orientamenti. Le forze vive di questo paese vengono condannate al presente e il futuro viene pensato come un prolungamento delle condizioni del presente. Ragionare su tempi lunghi aiuta il sociale, alimenta un vortice che trascina tutte le energie che ci sono. Il nostro non è un paese morto, ha tante contraddizioni, tanti problemi, ma ha anche tante risorse al suo interno. Mannino: Ci sono scelte che la politica non può assumere positivamente se non raccoglie le istanze dei corpi intermedi, se non è in grado di mobilitare le parti sociali per ritrovare un percorso che, nel rispetto dei ruoli e dell?autonomia di ciascuno, generi una leale collaborazione. Il telefono squilla Duecento disabili in due anni e mezzo. Cgil, Cisl, Uil e Uil hanno sottoscritto nel luglio 2004 un accordo con Telecom Italia che prevede l?inserimento lavorativo di 200 lavoratori disabili nell?azienda di telecomunicazioni entro il 31 dicembre 2006. Secondo l?intesa, 51 devono essere inseriti nelle sedi dislocate nelle regioni meridionali, 59 in quelle delle regioni centrali e il resto in quelle settentrionali. L?inserimento dei primi 40 lavoratori disabili è stato previsto per il 31 dicembre 2004, altri 70 entro la fine del 2005 e gli ultimi 90 prima del 31 dicembre 2006. Nonostante le difficoltà iniziali, la tabella di marcia definita dall?intesa è stata rispettata, i lavoratori disabili inseriti finora sono circa 70 e per la prossima scadenza, quella del 31 dicembre 2005, la società conta di centrare l?obiettivo dei 110 inserimenti.


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