Famiglia

Ma da noi è ancora tabù

Da Gavino Sanna ad Alberto Contri a Giovanni Pagano, i nostri creativi bocciano il connubio tra handicap e spot. Ma Oliviero Toscani non ci sta

di Cristina Giudici

In Inghilterra la British Telecom mostra il corpo senza gambe di Peter Hull, campione dei Giochi Paraolimpici, e offre servizi di comunicazione all?avanguardia per disabili. In America la Nec mette in pagina un ragazzino autistico per vendere computer destinati ad aiutare le persone impedite da un handicap. La Nissan al festival di Cannes ha presentato un filmato choc dove il protagonista è un guidatore sicuro e spericolato che non ha le gambe. E in Italia? È tabù, la pubblicità commerciale con immagini di disabili spaventa ancora.

«Immagini di disabili per vendere computer? No, non ci sto». Per Gavino Sanna il matrimonio fra handicap e pubblicità commerciale non s?ha da fare. «Credo che la comunicazione debba trovare l?equilibrio fra l?informazione sociale e la vendita di un prodotto, altrimenti è una ruffianata. Ho visto la pubblicità Nec che racconta una storia fantastica di un ragazzino autistico che riesce a comunicare con un computer. Hanno cercato di farmi piangere, ma non ci sono riusciti. I disabili devono essere considerati normali, invece in questo modo diventano un fenomeno da baraccone. Non abbiamo bisogno di pugni nello stomaco per comprendere la diversità, ma di campagne sociali che in Italia non si fanno perché si perde tempo e denaro».

Per Alberto Contri, presidente dell?Assap (Associazione delle agenzie di pubblicità), «il pubblico italiano non è preparato a infrangere il tabù dell?handicap e i creativi temono la reazione delle associazioni di volontariato, quindi optano per le campagne sociali dove il rischio di essere criticati è minore e la visibilità è garantita. Fare commercio di valori in Italia non è semplice».

Un secco no al connubio mercato e handicap viene anche da Giovanni Pagano, vice direttore creativo dell?agenzia Conquest : «Utilizzare l?immagine dei disabili è una bellissima soluzione creativa, ma anche in pubblicità devono esistere dei limiti. Usare l?handicap per vendere un prodotto è un discorso qualunquista, escluso quando possa servire per promuovere un prodotto che serva alla categoria e per fare informazione. E poi non voglio essere io a decidere se i disabili sono diversi o normali, che siano loro stessi a scegliere di essere oggetto o soggetto del mercato».

Solo per Oliviero Toscani, maestro delle immagini-choc, handicap e mercato non sono antagonisti: «I veri handicappati sono i creativi che pagano un miliardo per ingaggiare una top-model e fanno sentire disabili tutte le ragazzine che sfogliano i giornali senza poter essere come loro. Le stesse note possono creare le sinfonie di Mozart e delle cacofonie. Non considero un disabile diverso, ma considero un demente colui che usa male il proprio cervello. Ogni volta che ho cercato di fare pubblicità di questo genere, ad esempio con i matti, sono state considerate immagini limite. A questa stregua non si dovrebbero scrivere libri sugli handicappati e Francis Bacon non avrebbe dovuto dipingere». Toscani, che due anni fa nella rivista Colors con lo slogan ?corpi abili? ha illustrato una gamma di sport praticati da ciechi, poliomelitici e paraplegici, s?infuria : «Perché diavolo i disabili non possono essere consumatori? Tra l?altro sono numerosissimi e in qualche momento della vita tutti noi diventiamo disabili, seppur temporaneamente. Questo è razzismo al contrario».

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