Welfare

Ma come viene curato in carcere?

Quale metodo per curare

di Redazione

Le speranze dei detenuti affetti da Aids conclamata o sieropositivi di essere curati con gli inibitori della proteasi (la terapia che sta dando i risultati migliori) sono affidate a una bozza di decreto interministeriale messo a punto dai dicasteri della Giustizia e della Sanità, ancora in fase di discussione e per ora approvato solo dalla conferenza permanente Stato-Regioni. Lo ha spiegato nell?aula di Montecitorio, il 2 giugno scorso, il sottosegretario alla Sanità Antonino Mirone rispondendo, un anno dopo, a un?interrogazione rivolta al ministro Rosi Bindi da un gruppo di deputati di Forza Italia. Attualmente i 2.104 carcerati affetti da Hiv o sieropositivi (questi i dati del ?96, mentre altre stime parlano di almeno quattro mila detenuti malati), di cui 76 in fase acuta e 296 in fase pre-Aids, possono contare solo su tre centri dove sono stati ricavati reparti speciali per la cura delle malattie infettive: Milano-Opera, Napoli-Secondigliano e Genova-Marassi. Dove, però, non vengono somministrati gli inibitori: la può essere prescritta solo dalle unità operative di malattie infettive ospedaliere e universitarie e secondo il ministro della Sanità l?impiego della nuova terapia in carcere comporta una serie di verifiche mediche che richiedono convenzioni con le strutture del Sistema sanitario nazionale, che, ad oggi non esistono, anche se previste dalla bozza di decreto. Del tutto insoddisfatto della replica il primo firmatario dell?interrogazione, Francesco Stagno D?Alcontres. Oltre a denunciare il fatto di aver atteso un anno per avere una risposta, il forzista ha ricordato che la Federfarma, che riunisce le case farmaceutiche in Italia, si era detta disposta a distribuire gratis gli inibitori della proteasi fino al 31 dicembre del ?97. Un?occasione sfruttata poco e male dal ministero.


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