Non profit

Ma chi decide cos’è vita e cosa non lo è

Si dibatte su questa definizione.

di Riccardo Bonacina

Gentile direttore, vorrei riprendere la lettera della signora Cometto Fate parlare noi mamme di bimbi disabili pubblicata su Vita. Anch?io sono padre di una figlia disabile, non grave come la figlia della signora Cometto, ma costretta a una vita sociale poverissima. Ebbene, la signora Cometto sbaglia perché il caso di Terri Schiavo non è assolutamente paragonabile a quello di sua figlia: la prima aveva un encefalogramma piatto da 15 anni; sua figlia sorride, cioè sviluppa una relazione. Secondo punto: un palese errore di natura scientifica. Infatti, lasciata senza alimentazione la Schiavo non ha sofferto nulla perché il suo cervello non funziona da 15 anni (non capisco come mai su questo punto lei direttore non abbia sentito il bisogno di precisare). Non si può affermare che si tratti di un omicidio legalizzato: ci sono proprio su questo caso almeno mezza dozzina di sentenze dei giudici americani. Terzo punto: chi può decidere se una vita è degna di essere vissuta? Questa è la domanda forte della signora Cometto che non usa argomenti religiosi ma soltanto psicologici-affettivi. Credenti o atei, genitori o soli, dobbiamo tutti sforzarci di giungere a una definizione di vita. Qui non c?è molto da scegliere, dobbiamo andare al fondamento della nostra tradizione, dobbiamo interrogare il testo della Bibbia perché nasce lì l?Occidente. Direi di cominciare dall?inizio dalla vicenda della Creazione. Il testo recita: «All?inizio Dio creava i cieli e la terra!. Fermi, basta questo. I cieli e la terra sono due poli di una relazione. La relazione è il contesto, lo scenario, l?atmosfera, il luogo, il mezzo in cui l?Uomo viene posto dal Dio creatore. Insomma, c?è scritto che una vita è degna di essere vissuta quando permane la possibilità di esprimere, possedere, sviluppare, agire, sentire, avere una relazione. Quando manca la relazione cessa il dominio di Dio e inizia la responsabilità dell?uomo. Enrico Andreoli, Milano Caro Andreoli pubblico la sua lettera con molto rispetto ma mi permetto di dissentire. Non ho le sue certezze e penso che se la definizione di ciò che è vita è affidata all?uomo, si fa pura convenzione e come tale è consegnata nelle mani del potere. Tant?è vero che negli ultimi anni si è deciso che la cessazione della vita non fosse più al cessare del battito cardiaco ma al cessare dell?attività cerebrale. Nel caso di Terri si era di fronte a «una residua attività cerebrale» e non a encefalogramma piatto. Come stabilito dalla Commissione Veronesi nel 2001: «È fuori discussione che gli individui in stato vegetativo permanente non rispondono ai criteri per l?accertamento della morte cerebrale».


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